Ramana Maharshi – Il linguaggio è soltanto un mezzo per comunicare i propri pensieri ad altri e interviene solo dopo che i pensieri sono sorti. I pensieri sorgono dopo la nascita del pensiero-io, perciò il pensiero-io è la radice di tutta la conversazione. Quando si rimane senza pensare, gli altri vengono compresi attraverso il linguaggio universale del silenzio. Il silenzio parla costantemente, è un flusso perenne di linguaggio che viene interrotto dal parlare. Le parole che ora sto dicendo ostruiscono quel muto linguaggio. Per esempio, dell’elettricità fluisce in un cavo; con la resistenza al suo passaggio essa splende come lampadina o gira come ventilatore; nel cavo rimane come energia elettrica. Analogamente il silenzio è l’eterno flusso del linguaggio ostruito dalle parole. Quel che non si riesce a conoscere per mezzo d’una conversazione che si protrae per diversi anni, può essere conosciuto istantaneamente nel silenzio o di fronte al silenzio. Dakshinamurti e i suoi quattro discepoli ne rappresentano un buon esempio. Il silenzio è il linguaggio più efficace ed elevato.
David Godman – Bhagavan dice: “L’influenza dello jnani penetra di nascosto nel devoto in silenzio”. Bhagavan dice anche: “Il contatto con i grandi (mahatma) è un mezzo efficace per realizzare il proprio vero essere”.
R. – Sì, qual è la contraddizione? Jnani, grandi uomini, mahatma, fai differenze fra loro?
D. – No.
R. – Il contatto con essi è benefico. Opereranno attraverso il silenzio. Parlando il loro potere viene ridotto. Il silenzio è estremamente potente. La parola è sempre meno potente del silenzio, il contatto mentale è il migliore.
D. – Questo rimane valido anche dopo la dissoluzione del corpo fisico dello jnani o è vero solo finché egli è in carne ed ossa?
R. – Il Guru non è la forma fisica, perciò il contatto rimarrà perfino dopo che la forma fisica del Guru sarà svanita. Uno può andare da un altro Guru dopo che il suo Guru è morto, però tutti i Guru sono uno e nessuno di essi è la forma che vedi. Il contatto mentale è sempre il migliore.
D. – L’azione della Grazia è la mente del Guru che agisce sulla mente del discepolo o è un processo diverso?
R. – La più alta forma di Grazia è il silenzio. Ed è anche il più elevato ‘upadesha’ (insegnamento).
D. – Vivekananda ha anche detto che il silenzio è la forma più sonora di preghiera.
R. – È così per il silenzio del ricercatore. Il silenzio del Guru è il più sonoro insegnamento, e anche la Grazia nella sua forma più elevata. Tutte le altre diksha (iniziazioni) sono derivate da ‘mouna’ (silenzio) e sono perciò secondarie. Mouna è la forma primaria. Se il Guru è silente la mente del ricercatore viene automaticamente purificata.
D. – Il silenzio di Sri Bhagavan è in se stesso una forza poderosa. Provoca in noi una certa pace della mente.
R. – Il silenzio è un linguaggio che non conosce mai fine. Il linguaggio parlato ostruisce il linguaggio del silenzio. Nel silenzio si è in intimo contatto con l’ambiente circostante. Il silenzio di Dakshinamurti rimosse i dubbi dei quattro saggi. ‘Mouna viakhya prakatita tattvam’ significa ‘la verità esposta dal silenzio’. Il silenzio è detto essere l’esposizione. Il silenzio è così potente. Per il linguaggio verbale sono necessari gli organi della parola ed essi precedono il linguaggio. Ma il linguaggio del silenzio sta al di là del pensiero. È linguaggio trascendente, parole non pronunciate dalla voce, è para vak (linguaggio supremo).
D. – Chiunque può trarre beneficio da questo silenzio?
R. – Il silenzio è il vero perfetto ‘upadesha’. È idoneo soltanto per il ricercatore più avanzato. Gli altri sono incapaci di trarne piena ispirazione. Richiedono parole per spiegare la verità. Ma la verità è al di là delle parole, non ammette spiegazioni, tutto ciò che si può fare è indicarla.
D. – Si dice che uno sguardo di un mahatma sia sufficiente, che statue di idoli, pellegrinaggi eccetera non sono così efficaci. Sono stato qui per tre mesi, ma non so quanto abbia tratto beneficio dallo sguardo del Maharshi.
R. – Lo sguardo ha un effetto purificante. La purificazione non può essere visualizzata.
Come un pezzo di carbone ha bisogno di molto tempo per prendere fuoco, un pezzo di carbonella ne impiega meno e della polvere da sparo si incendia istantaneamente, così avviene con il grado di evoluzione degli uomini che giungono a contatto con i mahatma. Il fuoco della saggezza consuma tutte le azioni [nel senso di spinte mentali]. La saggezza viene acquisita per mezzo dell’associazione col saggio (sat-sanga) o piuttosto con la sua atmosfera mentale.
D. – Il silenzio del Guru può provocare la realizzazione se il discepolo non compie alcuno sforzo?
R. – In presenza di un Grande Maestro, le vasana cessano di essere attive, la mente diventa tranquilla e ne consegue il samadhi. Così il discepolo ottiene la vera conoscenza e la giusta esperienza alla presenza del maestro. Ma per rimanere saldamente in essa sono necessari ulteriori sforzi e alla fine il discepolo saprà che quello è il suo Essere Reale, così sarà liberato mentre il corpo è ancora in vita (jivanmukti).
D. – Se la ricerca dev’essere fatta all’interno, è necessario essere nella vicinanza fisica del maestro?
R. – È necessario finché tutti i dubbi avranno fine.
D. – Non sono in grado di concentrarmi. Sono in cerca di una forza che mi aiuti.
R. – Sì, questa si chiama Grazia. Individualmente siamo incapaci perché la mente è debole. È necessaria la Grazia. ‘Sadhu seva’ (servire un ‘sadhu’) la provocherà. Comunque non c’è nulla di nuovo da ottenere. Proprio come un uomo debole giunge sotto il controllo di uno più forte, la mente debole di un uomo giunge facilmente sotto controllo alla presenza di sadhu dalla mente forte. Ciò che esiste è soltanto Grazia, non c’è null’altro.
[Tratto da ‘Sii Ciò Che Sei’, a cura di David Godman, capitolo ‘Silenzio e Satsangha’]