Sri Ramana Maharshi, Discorso 448
Traduzione letterale della
“Filosofia del Nome Divino” di Namdev
I. Il Nome permea il cielo, le regioni inferiori e l’intero universo. Chi può dire a quali profondità nelle regioni inferiori e fino a che altezza nei cieli si estende? L’ignorante, non conoscendo l’essenza di cose, deve sopportare le 8.400.00 specie di nascite. Namdev dice che il Nome è immortale. Le forme sono innumerevoli, ma il Nome è tutto questo.
II. Il Nome è forma e la forma stessa è Nome. Non c’è differenza tra Nome e forma. Quando Dio si manifestò assunse Nome e forma. Da qui il Nome che i Veda hanno stabilito. Attenzione, non c’è mantra oltre il Nome. Quelli che dicono altrimenti sono ignoranti. Namdev dice che il Nome è lo stesso Keshava [un nome di Sri Krishna]. Questo è noto solo agli amorevoli devoti del Signore.
III. La natura onnipervadente* del Nome può essere compresa solo quando si riconosce il proprio Io*. Se non si riconosce il proprio nome, è impossibile conoscere il Nome che tutto pervade. Quando si conosce se stessi, allora si trova il Nome ovunque. Pensare che il nome sia differente dal Nominato crea illusione. Namdev dice: “Chiedi ai santi”.
[* Soham – Il proprio ‘Io’ è il Sé universale e transpersonale, non la persona identificata con la forma. Solo quando l’io personale muore il Sé universale può stabilirsi in permanenza sul trono della coscienza. Solo quando non si ha nulla si può essere Colui che è tutto. Gli aspiranti hanno l’esperienze del Sé e poi tornano ad essere la persona. Perché? L’ego non vuole morire. Bisogna insistere ripetutamente a ritornare ad essere il Sé ogni volta che ci si accorge di aver assunto il punto di vista dell’io personale].
IV. Nessuno può realizzare il Nome con la pratica della conoscenza, della meditazione o delle austerità. Abbandonati per prima cosa ai piedi del Guru e impara a conoscere: ‘Io stesso sono quel Nome’. Dopo aver trovato la fonte di quell’Io, fondi la tua individualità con quell’Unità che è Autoesistente e che è priva di ogni dualità. Quel Nome che pervade tutto, oltre dvaita e dvaitatita**, si è manifestato nei tre mondi. Il Nome è lo stesso Para Brahman, ove non v’è azione derivante dalla dualità.
[** Soham – dvaita significa dualità e dvaitatita significa ‘oltre la dualità’. Ma dualità e non-dualità sono concetti e il Parabrahman è prima della mente, e quindi oltre i concetti. Perciò di Lui può essere detto: né dualità, né non-dualità].
Quando Sri Bhagavan finì di leggere, nella sala entrò un musicista che iniziò a cantare dei kirtana di Tyagaraja in Telugu. Un kirtana diceva: “Trova la sorgente del suono trascendentale (muladhara sabda), immergendoti in profondità come un pescatore di perle”. Poi un’altro kirtana diceva: “A che serve il tapasya [austerità] a un uomo che ha controllato la mente? Abbandona l’idea ‘Io sono il corpo’ e realizza ‘Io non sono, Tu sei tutto’”.
[…] Più tardi Sri Bhagavan riferendosi ai kirtana, disse: «Tyagaraja dice bene: la mente dev’essere controllata. Allora sorge la domanda: “Che cos’è la mente?”. Tyagaraja risponde nei versi successivi: “È l’idea ‘io sono il corpo’”. La domanda seguente è: “Come praticare il controllo della mente?”. Risponde: “Con il totale abbandono. Realizza che ‘io non sono’ e che ‘tutto è Lui’”. Il canto è bello e conciso».