il viaggio spirituale di Andrea

Nell’ultimo colloquio con Andrea Sper sono rimasto colpito dalla sua chiarezza spirituale. Allora gli ho chiesto se avesse avuto voglia di narrare il suo viaggio spirituale in questa vita. Ha acconsentito!

Grazie Andrea! ❤

Ecco di seguito il suo racconto.

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6 Agosto 2024

Venni in questo mondo quarant’anni fa. I primi anni di vita passarono tranquilli, felici, e così anche gli anni successivi, sino agli 8-9 anni. Spesso però, mentre giocavo con i compagni, v’erano momenti in cui mi ‘bloccavo e isolavo’. Allora non lo sapevo, ma in quei momenti stavo nel Sé.

Non completamente, era ancora un savikalpa ‘impuro’. Comunque quei momenti in cui mi bloccavo e isolavo erano lunghi e furono visti da familiari, insegnanti ecc. come un problema. Credevano che avessi qualche disagio. Comprendendo che non ‘vedevano’ né sentivano dal mio punto di vista, e intuendo che nemmeno io avrei potuto spiegar loro cosa accadeva – che manco io l’avevo chiaro –, cominciai a fingere di essere come tutti gli altri.

Tutti si tranquillizzarono. Raggiunsi gli 11-12 anni. A quell’età il flusso delle domande sull’esistenza, sul ‘perché fossi nato’, mi faceva passare notti insonni. Il mio sentire emozionale, il mio intuito e il mio modo di usare la mente erano l’esatta antitesi di chi mi stava intorno: la famiglia, la scuola e gli amici. Nutrivo repulsione verso di loro, e più il tempo passava più comprendevo che quella repulsione era generata dal perfetto trionfo dell’ego su di loro. Li vedevo ‘usati, manovrati, guidati’ da concetti, dogmi, strutture mentali che non mi sono mai appartenute e che sapevo non appartenere nemmeno a loro. Tutto mi sembrava una follia, uno scherzo di pessimo gusto, e continuavo a non capire perché fossi nato, perché gli esseri umani e la società fossero in quel modo. Pareva che una forza esterna annebbiasse le persone. Il mio modo di osservare era talmente acuto e dettagliato che avevo sviluppato un intuito tale da prevedere ogni loro movimento fisico, modo di pensare, le loro battute, le emozioni ecc.

Tutto ciò non mi faceva star bene. Trovavo sollievo solo nei boschi vicino casa e attraverso qualche confidenza con qualcuno. Poi lasciavo perdere quegli sparuti contatti perché percepivo che, sebbene fossi ascoltato, non sarei mai riuscito ad arrivare a una comprensione con loro.

Gli anni passarono. La situazione peggiorò. La spasmodica ricerca di comprendere la vita aumentò in maniera esponenziale. Lasciai perdere gli studi, scappai di casa, lasciai la ragazza, e – non so perché – mi arruolai nell’esercito. Andarmene per un po’ mi avrebbe fatto bene.

Fu un anno bellissimo: gente nuova, nuove conoscenze, nuovi luoghi ecc. Dopo poco più di un anno ritornai a casa. Provai a ‘farmi’ una vita, ad ingranare la marcia. Facevo fatica, molta fatica.

Nel frattempo la ricerca interiore avanzava. Leggevo molto: Siddharta, Eckhart Tolle e tantissimi altri autori. Qualcosa cominciava a cambiare, tutto mi porta alla meditazione. È un mondo nuovo ma mi sembrava di averlo già percorso. Grazie alla meditazione molte cose cambiarono in meglio, soprattutto nel gestire la emozioni e i rapportarmi con gli altri. Gli anni passano, ma certi aspetti e incomprensioni con il ‘fuori’ e le persone continuano a ripresentarsi, come l’odio verso la società ed il suo modo di vivere ed interpretare le cose.

Mi chiedevo perché non cambiassero; riflettevo sulla meditazione che praticavo ridendo di me, perché sostanzialmente tutto quello che facevo era andare per qualche oretta nel silenzio mentale, dove si stava così bene, dove non c’era più nessuno… Ma poi tornava tutto come prima. Abbandonai la meditazione, ricaddi in schemi che mi rubavano energia.

Ho cambiato più lavori, riprovavo sempre a costruirmi una vita senza riuscirvi, ero sempre con l’acqua alla gola. Mi accorgevo di non riuscire più a funzionare in nulla; continuava a ripresentarsi lo stesso schema di vita, anzi, si amplificava. Non accettavo più di andare avanti in quel modo, non accettavo più di essere dentro un corpo, non accettavo più questa dimensione. Il dolore era alle stelle perché il mio modo d’essere gravava sulla mia compagna, l’unico essere che mi comprendeva. Ero terrorizzato e arrabbiato, mi sentivo completamente abbandonato… Così, fra mille turbe psicoemotive e sconfitte, gli anni passavano. Ma la ricerca non si è mai affievolita. Sentivo nel profondo, che la vita non poteva essere questa, che non poteva esprimersi così. Guardavo la natura e vedevo il progetto originale di Dio: così diverso da quello della mente umana… Dov’era la pace dei maestri? Dov’era quella presenza di cui tutti parlavano…

Arriva una sera, era il 2018. Stavo guardando la TV, mi sintonizzai distrattamente su un canale, e… vedo un uomo. Non so perché c’è qualcosa di familiare in lui. Incomincia a parlare. L’intervistatrice lo esorta e a lui viene da piangere per l’emozione… Comincia a raccontare il dolore di una vita, la sofferenza in cui si è trovato, le situazioni ‘estreme’ che aveva pensato di mettere in atto. Poi mi colpì una sua frase, me la ricordo ancora adesso. Disse: “ma è possibile? È possibile che la vita sia questa? Si nasce, si soffre, si lavora e si muore?! Non posso credere che sia questa!”. E mentre lo diceva, parlava in un modo che mi scavava dentro. Poi raccontò che un giorno si lasciò sprofondare nell’erba, esausto… rinunciando a tutto. Poi descrisse dettagliatamente la sua esperienza del Sé. Del Sé, del cambiamento totale della sua vita, grazie al Sé. Ogni volta che nominava il Sé, io tremavo e piangevo seduto sul divano. Non capivo, ma SAPEVO che tutto quello aveva a che fare con me! Era la chiave che cercavo!! Lo sentivo!!

Finita la trasmissione mi alzai sconvolto. Dico alla mia compagna che sarei uscito per un momento. Vado verso il fiume, le stelle splendono, c’è una leggera brezza. Mi stendo anch’io sul prato. C’è solo una domanda adesso: cosa devo fare?

Il periodo che segue questo evento non lo ricordo bene. Lasciai il lavoro e decisi di ritirarmi da tutto. Passavo del tempo nella mia stanza e passeggiavo nei boschi diverse ore. Ripresi a meditare, ma questa volta diversamente: era più un’indagine, un’indagine e un ascolto.

Venne finalmente il giorno. Ero in un boschetto, con la schiena poggiata a un muretto. La domanda che ripetevo era la stessa: “Cosa devo fare?”. L’uomo della trasmissione aveva parlato di rinunciare a tutto. Rinunciai a tutto anch’io. Era naturale: scartai il corpo, scartai la mente e le emozioni… giunsi al silenzio mentale. Eccomi, ancora lì, c’ero già arrivato in passato in quel punto. Ma adesso… c’era ancora un ‘qualcuno’ che poteva percepire di essere immobile nel silenzio mentale? Sì! Ma come scartarlo, dissolverlo? Avevo capito che il Sé non era quello.

Allora mi chiesi chi stava percependo tutto questo… Riutilizzai la mente, indagai e capii che quel qualcuno che percepiva era solo un’idea fittizia, concetti mescolati a emozioni, ma non avevano un’esistenza propria. Non erano continui, continuavano a mutare… Erano illusori. Soprattutto, esistevano perché infine convergevano tutti in un’idea: l’io-corpo. Però restava qualcosa, restava sempre qualcosa, ma cosa? Mi sforzai di sentire, ma senza più quel qualcuno. Forse dovevo diventare il ‘sentire’ stesso. Sapevo che ero vicino, ma non mi era chiaro cosa fare. Era un passaggio troppo sottile. Mi venne in mente l’ ‘Adesso’ di Eckhart Tolle. Annullai qualsiasi idea di passato e futuro, restai in quel momento, nell’ ‘Adesso’. Osservai, o meglio: ‘testimoniai’ quel momento. Osservai un albero e mi chiesi se anche la pianta vivesse lo stesso Testimoniare e lo stesso Adesso. Probabilmente sì. Allora il Testimone e l’Adesso che erano in me, erano uguali a quelli dell’albero?

Mi bloccai perché la mente non aveva risposta. I giorni seguenti rianalizzai il concetto di Adesso. Forse cominciavo a comprendere. Una cosa che mi riuscì bene era vivere il quotidiano senza passato e futuro. Restavo distaccato dalla mente, ero un “qualcuno” che la osservava in silenzio da un’altro luogo o punto di vista. Molto, molto, meglio ma sapevo che dovevo andare avanti.

All’indomani decisi di andare via di casa per un po’; avevo profondamente bisogno di isolamento totale. Dato che abito in una zona ricca di natura incontaminata, mi incamminai verso un luogo dove mio nonno mi portava da bambino per raccogliere i funghi. Questo posto è molto nascosto, pericoloso da raggiungere e molto molto isolato. Lì non c’è campo telefonico. Era il luogo ideale.

Giunsi sul ‘Posto’ dopo ore di cammino e arrampicata. Mi ero portato con me una tenda, una coperta, poco cibo… nulla da leggere. Dovevo farcela da solo. Dovevo trascendermi da solo a costo di morire lassù. Non mi interessava nulla del mio corpo-mente. In effetti prima di partire mi ero promesso di non ritornare finché non avessi ‘risolto’. Non ero un maestro, non ero nessuno, ma avevo fede in quello che aveva dato origine a tutto ciò.

Quel giorno e i giorni seguenti provai e riprovai ad abbandonare tutto e a esplorare quel lato più sconosciuto e velato che sapevo essere in Me. Mi calai molte volte nel Testimone, libero da tutto e dal tempo. Man mano che lo facevo intuii che c’erano più ‘livelli’ di profondità. Sostituii e feci mie le nuove, più naturali condizioni raggiunte. Arrivai a morire completamente a ‘me’. Non c’era più nessuna reazione poiché quel qualcuno a cui reagivo stava svanendo. Dove? Nel Silenzio. Era forse il Silenzio quel Sé che cercavo?

Ma c’era una cosa che non capivo e che mi disturbava. Perché dopo un po’ di tempo, che siano 2, 3, 4 o 5 ore, continuavo a tornare alla consapevolezza ordinaria di passato futuro e reazioni? Tornavano anche pensieri negativi come “sto impazzendo, cosa faccio qui”. Era una schiavitù. Erano non voluti. Era come se si forzasse una pianta ad essere un animale, un insetto e così via. Pareva che la mente e il corpo fossero dei ladri che si divertivano a derubarmi, per poi ridarmi quello che mi avevano preso, e poi derubarmi di nuovo ecc. Perché ritornava tutto? Da una parte c’era Silenzio totale, ma non duraturo, dall’altra quel ‘me’ che continuava a tormentarmi e dirmi: io esisto, io esisto!!

Accadde in seguito di riuscire a rimanere nel Silenzio con più facilità. Fu una mattina poco dopo l’alba, ero nella tenda. Stavo sempre nel Silenzio con gli occhi aperti perché così facendo la mente era più dormiente. Quella mattina, osservando dal Silenzio il bosco, mi venne la spontanea voglia di sciogliermi in tutto quello… Lasciai anche la presa al silenzio. Fu un atto di Volontà. Di Volontà e anche di Identità. Qualcuno direbbe di fede; ma no, non fu così. Entrai nel Sé per un istante. Non vi era più nulla se non Io. Non vedevo più, ma percepivo l’ ‘Essere Ovunque senza nulla’. Attenzione, ai tempi non lo sapevo ma oggi posso affermare che quello non era il Sé inteso come Atman ma bensì Paramatman.

Non so dire quanto durò. Poi l’attenzione della mia mente venne scaraventata su qualcosa che stava di fronte a me in quanto corpo-mentre. Non feci in tempo a capire e a ricordarmi dov’ero. Il Silenzio tornò quello di prima. Quindi dal Silenzio osservavo la mente che osservava e interpretava qualcosa che stava di fronte a me. Cosa c’era di fronte a me? C’era un uomo.

Lo riconobbi subito; era pressappoco della mia età, leggermente più giovane. Eravamo andati alla stessa scuola. Non mi chiesi nulla in quel momento. Non mi chiesi perché era lì e non mi sorpresi affatto di vederlo. Sembrava che quell’incontro dovesse naturalmente accadere. Lui mi fissò. Poi si sedette. Osservò la parete di roccia di fronte a me e chiuse gli occhi. Passano minuti… In quell’enorme Calma ritrovai la parola:
— Ciao —.
Lui resta ad occhi chiusi per un po’, poi lì apre, mi guarda e mi sorride rispondendo: — Ciao —.
Comincia così un dialogo immerso in una Calma irreale.
— Allora, ci sei riuscito o no? —, dice lui.
La domanda mi sembrava perfetta era come se volessi sentirgliela dire.
— A fare cosa? — rispondo.
— A Vederti.
Resto in silenzio… non perché so che quello non è un dialogo ‘normale’ e che sta avvenendo qualcosa di più, ma perché cerco la risposta. — Vorrei risponderti ma la mia mente non ci riesce.
— Allora vai prima. Cosa c’è prima della mente?
Non rispondo… Lui chiede di nuovo: — Cosa c’è prima della mente? Risali pure anche con la mente, ma dimmi: cosa c’è prima della mente? —.
Passo così, credo dieci minuti, a sforzarmi di fare, capire, eseguire. Lui mi guarda con volto paziente e i suoi occhi sembrano incoraggiarmi. Giungo ad una conclusione sia intellettuale che esperienziale: — Forse l’Origine dell’ego?
— E questo ‘ego’, da dove sembra venir fuori?
Non rispondo anche sta volta. Cerco con la mente la risposta, ma so che non è la via giusta. Cerco di intuire dall’esperienza, ma… qui mi interrompe lui: — Viene fuori o ‘sembra’ venir fuori? Dimmi esattamente ‘da dove’ —.
Non capisco, non trovo la risposta e non intuisco dove lui voglia arrivare.
— Non lo so — rispondo.
— Stai cercando l’Uno? L’Origine?
— Sì.
— Cerchi l’Uno con il due, o l’Origine con la sua molteplicità apparente?
— Cosa?
Lui ride, ride di gusto. Io non capisco.
— Vieni — mi dice.

Lo seguo; arriviamo a un ruscello. Poco sopra c’è un’immensa roccia. Mi conduce fino alla sommità e ci sediamo. Mi chiede di raccontargli tutto il mio percorso interiore. Ad ogni frase che inizio, arrivato a metà lui la termina sapendo già cosa volessi dire. Il discorso si fa più sottile. Io l’ho condotto fino dove arrivava la mia esperienza, lui fa il dibattito e comincia a condurre lui il discorso.

Capisco subito che mi posso fidare totalmente. Ottenuta tale fiducia, lui distrugge ogni mio sapere intellettuale e gli ultimi pilastri della mia mente. Mi apre ad una nuova ‘visione’. Nomina la parola Unione, nomina la parola Samadhi. Mi chiarisce completamente, sul piano intellettuale, il come e soprattutto il ‘Cosa’ fare. Mi dà una pratica da seguire, se lo desidero. L’accetto. La pratica, dice lui, mi porterà ad un’esperienza diretta di ciò che sono davvero.

Giunge quasi la sera. Si offre di accompagnarmi a casa. Dice di andarlo a trovare quando sarò completamente sicuro di aver raggiunto il mio fine, che è: l’esperienza diretta di me stesso.

Ora che ho compreso perfettamente sul piano intellettuale cosa è il Sé e che il Sé, come lui dice, è l’unica Realtà, mi cimento nella pratica.

Dialogando con Lui, ho ben compreso cosa sia mente, ego, corpo e Coscienza e Pura Coscienza. Se avevo capito bene, molte volte ero già andato nella Coscienza ma non l’avevo riconosciuta né mi ero riconosciuto in Essa! È un errore comune, mi aveva detto; ma per me era un errore talmente stupido che quasi non ci credevo di averlo potuto fare.

Così cominciai a praticare. Arrivai a quella che è la limpida Coscienza, ad ESSERE la limpida Coscienza ma non mi fermai lì. Andai avanti, andai a sciogliere quella Coscienza nella Coscienza Totale. Il due si risolve nell’Uno; o meglio, l’Uno si risolve nello ZERO? Nella Coscienza che è dietro tutto, prima di tutto e che sostiene tutto! Lì la mente è morta, il corpo funziona in automatico, poiché Sono Esistenza-Coscienza-Pace. Allora è così, sono davvero il Sostenitore!

Passai molte ore a praticare, molte giornate e mesi.

Lo rividi. So che sapeva e so che il nostro incontro non fu casuale. Durante il secondo incontro con lui ci sedemmo nel suo salotto. Mi insegnò come integrare lo stato tra veglia e sogno. Ero un fiume in piena di domande. Nonostante avessi potuto trovare la risposta da solo, non riuscii a trattenermi dal porre certe domande. Lui rideva sempre, mi disse che se volevo colmare alcuni dubbi potevo leggere testi di Nisargadatta, Ramana Maharshi, ADI Shankaracharya… ma diceva anche che tutta quella conoscenza dovrà essere dimenticata e che tutta quella conoscenza in Realtà non è mai esistita.

Il tempo scorreva. I frutti della mia assidua pratica si espendevano. Riuscivo a mantenere questo stato durante il lavoro (cosa che solo poco prima mi sembrava impensabile), e fra veglia e sogno. A volte non capisco se ero nel sogno o nella veglia. Ma in fin dei conti è sempre sogno sia lo stato di veglia, sia quello di sogno, sia quel ‘qualcuno’ che crede di esistere. Come avevo potuto credere di esistere? Fra veglia e sogno e durante il sogno può apparire di tutto. Veramente di tutto. Ma, credo non sia così per tutti. Posso solo affermare che è fondamentale rimanere perfettamente centrati.

Un giorno andai all’ultimo incontro con Lui. Sebbene l’avessi visto molto molto raramente, la connessione tra noi era sempre presente. Ovunque guardassi, sono e vedo Lui e viceversa.
Mi accolse nel salotto, come sempre… Parlammo.
Mi accorgo che non parla più di lui in prima persona; in effetti ha più senso. Mi chiese di ‘ME’ ed fu felice di sapere che tutto procedeva verso il Riassorbimento. A volte mollo la presa ma poi, come dicevo, si viene riassorbiti dentro, nella Pace.

Ricordo una domanda che gli feci, la cui risposta mi lasciò un po’ perplesso: — Perché non vuoi trasmettere la Conoscenza tramite un libro, un’intervista?
— Impossibile.
— Perché?
— Non si può.
— Intendi che l’insegnamento o la trasmissione va data soltanto a chi è pronto, a chi ha i Veri requisiti?
— Sorrise, poi disse: — Non è proprio così. Me lo confermerai tra un po’ di tempo se accadrà —.
Poi non so perché gli chiesi: — Che cosa mi puoi dire di TE?
— Che sono l’Inizio —.

Lo guardai… Ci abbracciamo, poi lo salutai.

Prima di salutarci mi disse che non aveva più tempo per incontrarmi. Io capii sino a un certo punto, poi compresi che non sapevo ancora tutto, ma ciò che conta è che so cosa sono… L’apparenza fenomenica sembra accadere.

Sono sempre Qui, Felice. Mai nato. Non c’è nessuno qui se non Me.
Provo amore ma non sono l’amore. Provo compassione e felicità ma non sono affatto questi.

Cosa sono? Non esiste una parola per dirlo.
So che sono Grande. Mi sono individualizzato e poi mi sono riconosciuto Assoluto! Quale magia d’amore è mai questa?

Andrea Sper