Alcuni allievi vengono all’insegnante con un approccio romantico, fatto di ‘Sturm und Drang’, tempesta e dilaniamento interiore. La loro pratica è fatta di lotta contro se stessi, contro quelle parti di sé che ritengono abbiette, e così facendo nutrono inconsapevolmente il loro ego. Pensate che con un tale modo di procedere vadano verso l’Indifferenziato?
Alcuni di questi si sottopongono a pratiche basate su uno sforzo così intenso da ottenere dei risultati spirituali. Queste esperienze non possono essere stabili, perché in quella battaglia la loro mente non è morta; anzi, è bella pugnace!
Possono raggiungere dei nirvikalpa samadhi prolungati, ma quando ne escono si trovano allo stesso punto di prima. Il risultato più elevato cui può ambire la pratica di sforzo estremo è il falso sahaja samadhi, detto ‘kevala nirvikalpa samadhi’. Ramana lo descrive con una metafora: “il secchio è caduto nel pozzo ma la corda non è stata recisa’. Il pozzo è il Sé, il secchio è l’ego che dovrebbe fondersi nel Sé e la corda è la mente che non è morta. Così, dopo un certo tempo che sono nello stato del finto sahaja, le circostanze possono risvegliare delle vasana che erano dormienti, è loro si ritrovano di nuovo nell’ego.
Perché la mente muoia bisogna STARE IN QUELLO CHE C’È, ACCETTARE CIÒ CHE SI PRESENTA. Questo non significa passività, perché in quello che c’è, vi è anche il vostro sentire. Vivete in un posto estremamente rumoroso: concludete che dovete cambiare casa! Ma non avviene come avverrebbe con l’ego. C’è uno srotolarsi della volontà di Dio cui vi abbandonate di continuo. E dietro questo srotolarsi delle cose, cui date poca importanza, vedrete l’immobilità dell’Eterno, e Ne godrete sommamente nel vostro Cuore! È più facile a farsi che a dirsi.
Se Dio è tutto e in ogni cosa, non si dovrebbe nutrire verso ogni Sua forma una disposizione equanime? Come potrà sopravvivere la mente in un tale abbandono al Divino? Non sopravvive!
La pratica dell’abbandono è l’unica che può eliminare l’ego in essenza.
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Sforzo e abbandono sono nient’altro che DUE PROSPETTIVE DIVERSE.
Il concetto di sforzo è espressione dell’ego, di un ente immaginario che crede di essere il responsabile delle azioni. Quando l’ego svanisce, o è quasi svanito, c’è solo il Sé, a cui ci si consegna, ci si abbandona completamente. Allora il concetto di sforzo svanisce.
Dal punto di vista di un osservatore esterno, sembra che lo sforzo continui anche per il realizzato. Ma chi è senza ego lo percepisce come facente parte di ‘CIÒ CHE C’È’, come manifestazione di Dio. Per lui lo sforzo è inconcepibile: ‘chi’ dovrebbe compiere lo sforzo? Perciò, anche sforzandosi egli resta nell’abbandono al Divino.
• Grazie a Sri Jnanananda per avermi ispirato questo post ❤