Quando Ranjit e Nisargadatta dicono di andare oltre la conoscenza, spesso la gente pensa a una trance (che in alcuni momenti ci può anche essere). Ma la non-conoscenza di cui loro parlano è più semplice e normale – almeno esteriormente.
Quando non c’è un ‘io’, non c’è nessuno che conosce, e quindi nessuna conoscenza. Sei nella pace/beatitudine del silenzio, senza che sia presente la consapevolezza di esistere, né l’azione di auto testimoniarsi (che è stata indispensabile per farti realizzare che non sei qualcosa, un oggetto, ma il Puro Essere senza forma né attributi). La conoscenza è in standby. Se qualcuno ti chiama: “Sergio”, allora la mente si riattiva e la conoscenza ritorna: “Eccomi”…
Bodhananda in Manolayasutra, lo spiega in un altro modo:
[…] Sposta l’attenzione sull’essenza che sei, e che non hai osservato perché eri distratto dall’essere ‘qualcosa’. “Senti” di esistere, perché sei, non perché percepisci qualcos’altro da te.
Questa è la pura ‘coscienza di essere’ o “Io sono”.
Tuttavia è ancora dualità [anche se appare che soggetto oggetto siano UNO, conoscere presuppone un oggetto di conoscenza, e testimoniarsi è ancora un’azione].
Lascia adesso questa coscienza di essere. Non v’è necessità di tenerla. Se sei, non ti serve esserne cosciente.
Ecco che “sei”. Non c’è altro.
È lo stesso “io sono” che smette di affermare la propria esistenza perché ne perde coscienza, non vi è alcuna necessità di affermarla [come dice Ranjit, la conoscenza è la medicina per l’ignoranza; una volta rimossa l’ignoranza, non c’è più bisogno della medicina].