Nella meditazione diadica la comunicazione fa da pulizia mentale. Il partner che medita dovrebbe comunicare tutti i contenuti mentali che sono emersi come conseguenza della sua autoindagine. In questo modo quei contenuti sono ‘visti’ da 2 coscienze, quella di chi comunica e quella di chi ascolta, ed evaporano come canfora al sole. L’esempio che fanno i maestri è quello della vanga. La vanga penetra il terreno per andare a fondo (l’intento di dimorare nell’io), poi sollevandosi porta fuori il terreno che è stato rimosso (comunica i contenuti mentali che sono sorti come conseguenza della meditazione) e di nuovo penetra il terreno, questa volta a una maggiore profondità.
Se il partner che medita trattiene i contenuti emersi (non riversa fuori dal buco il terreno rimosso) presto si troverà la mente ingolfata e in uno stato di confusione.
Ecco una delle ragioni per cui la meditazione diadica è assai più potente della meditazione individuale. Poi quando la mente è diventata abbastanza pura, non fa differenza e si sente poco il bisogno di comunicare a parole. L’altro motivo per cui è assai più potente è perché ti permette di capire in fretta che non c’è nessun ‘altro’, che l’altro è te, e che è tutto UNO!
Ecco un esempio di comunicazione diadica incompleta:
— Ciao Sergio. Ho fatto il Ritiro di Autoindagine di giovedì-domenica scorsa.
Le diadi danno una buona scossa. Mentre da solo, durante i periodi ‘informali’ di meditazione, sono in genere perso nella distrazione: quando cammino, sembra quasi che il movimento delle gambe alimenti il turbinio della mente, quando lavoro prevale la preoccupazione/tensione per il fatto che non ci vedo bene e ho paura di fare le cose male o troppo lentamente.
Durante le diadi Sara mi ha aiutato con un consiglio rispetto alla mia scarsa ‘aderenza’ allo stato di Sé/Essere/IO/attenzione, e cioè al fatto che anche se porto l’attenzione all’io, non mi soffermo!… È come se fosse una dimora poco piacevole, quasi priva di ananda, e l’attenzione scappa perché non gradisce.
Ho chiesto a Sara se fosse il caso di ‘escogitare’ un koan che richiamasse l’attenzione più ‘letteralmente’ su: ananda/bellezza/amore/beatitudine/ecc. Sara però – dopo un breve colloquio – mi ha fatto notare che io non stavo utilizzando una parte essenziale della diade: la comunicazione al partner che ascolta dello stato in cui mi trovavo.
In effetti, quando nella diade avevo la mente confusa, ingombra o disturbata, non lo dicevo… in attesa di poteri comunicare qualcosa di più chiaro, facevo così una specie di auto-censura.
Dopo il consiglio, avendo iniziato a comunicare quello che emergeva nella mente, le cose sono andate meglio, se non altro per le emozioni che suscita parlare di ciò che si sente ‘qui ed ora’.
— Veramente centrato l’intervento di Sara. Mi congratulo con lei e con te!