— C’è una struttura che in superficie è reattiva, spesso nervosa, e in profondità sembra non avere giudizi particolari su ciò che accade.
— Non occuparti più della struttura superficiale. Mollala e lascia che sia; fa parte del gioco dei guna.
— Sono accompagnata in modo più o meno costante da un senso di estraneità agli altri. Su un piano non c’è distinzione alcuna, su un altro come essere lontana.
— Sì, è così. Ma questa dicotomia rimane perché c’è ancora una qualche senso dell’esistenza degli altri, che riesuma contenuti mentali riguardo agli altri. Quando c’è solo il Sé, allora scompare, non hai più dualità. Non importa se la tua forma vive ritirata o è attiva nel mondo, hai costantemente relazione con Dio, in qualsiasi modo si presenti: come altri, stati interiori, situazione della vita… Per te è sempre e solo Dio, in ogni caso. Allora non sei più duale: sei UNO! Ovunque guardi vedi te stessa. Il gioco si conclude… Non sogni più.
Guarda il post di Fabrizio: “Oltre ogni immaginazione”.
Roberta all’inizio non vedeva l’ora di tornare a casa e immergersi nel Sé. Quello è il nirvikalpa samadhi, la fusione col Sé senza percezioni, ma è discontinuo; quando ricompaiono le percezioni c’è ancora un senso di dualità. Poi un giorno mi scrisse: “Trovo pace ovunque. Vedo i miei occhi in tutti gli occhi”. È il sahaja samadhi. L’oceano non vede più onde, nuvole, pioggia, ma solo l’oceano, dappertutto.