la pratica di essere nello stato naturale

Ha lo scopo – e il potere! – di rendere stabile la Realizzazione.

C’è una bella differenza tra essere la Pura Consapevolezza per un magico momento ed esserlo per sempre. Se è solo per un momento, dopo tornate alla vostra vita – e alla vostra identificazione – di sempre. Se è per sempre, cambia tutto!

Se volete sia per sempre, dovete praticare il Thekchod nella maniera semplificata e potenziata che vi ho insegnato.

Anzitutto permettetemi di chiarire cos’è il Thekchod: è lo ‘stato naturale’ così come viene chiamato nello Dzogchen e, inteso come pratica, è ESSERE NELLO STATO NATURALE. La stessa pratica, con qualche insignificante e ininfluente variante nella postura, che esiste anche nello Zen: si chiama Shikantaza. Eihei Dogen (Dogen Zenji) ammoniva: “Quando praticate Shikantaza non dovete pensare di star facendo una pratica, dovete essere consapevoli che è lo stato naturale stesso”.

Vediamo come l’abate Lopon Tenzin Namdak, della tradizione Bonpo, descrive il Thekchod:

“Il metodo è di osservare come i pensieri sorgono, restano e come se ne vanno. Guardiamo la nostra mente, l’osserviamo, ma non interferiamo e non modifichiamo niente. Noi semplicemente lasciamo che i pensieri siano e guardiamo cosa accade. Allora notiamo che quando non interferiamo o tentiamo di cambiare i pensieri, questi si dissolvono da soli senza lasciare traccia.
Cosa scopriamo? Che non c’è nessun “Tu”. Lo Stato Naturale è vuoto ma questo vuoto non è un niente perché contiene consapevolezza. Ma questa consapevolezza non è la coscienza ordinaria che è duale e include un soggetto che apprende e un oggetto appreso. Nella consapevolezza intrinseca allo Stato Naturale il soggetto percipiente e l’oggetto percepito sono uniti e inseparabili: come fuoco e calore. Comunque, quando pratichiamo lo Stato Naturale, non esaminiamo alcunché. Siamo semplicemente auto-consapevoli”.

Noi pratichiamo l’ESSERE NELLO STATO NATURALE usando il potere della domanda-koan: “COSA MANTIENE IL SENTIRE DI ESSERE SEPARATO?”.

Prima di descrivere come praticare, vale la pena dire a chi è prevalentemente indirizzata questa pratica: a chi sa bene chi veramente è lui. Statisticamente parlando: a chi ha una bella manciata di esperienze dirette che gli abbiano permesso di vedere con sufficiente chiarezza la sua vera natura.

LA PRATICA

1. Siedi con la schiena dritta e il corpo rilassato. Occhi aperti o chiusi, come preferisci.

2. Prima di iniziare ricorda a te stesso chi veramente sei.
Pronuncia mentalmente:
Sono Pura Consapevolezza
Non ho bisogno di niente
Non ho desideri
Non sono limitato dal tempo, sono eterno
Non sono confinato dallo spazio, sono illimitato
Tutto è in me, io sono tutto e sono il trascendente che è oltre il tutto

3. Ora osserva cosa appare nella tua coscienza e poniti la domanda:
“Cosa mantiene il sentire di essere separato?”.
La domanda non serve a produrre una risposta, ma solo a notare i movimenti e le spinte mentali che sono in contraddizione col semplice Essere Pura Consapevolezza con le caratteristiche che hai rammentato.

Così procedendo, gradualmente lo stato naturale diverrà sempre meno perturbato e resterà solo la pura diafana luminosa autoconsapevolezza, cioè: Pura Consapevolezza consapevole di se medesima.

Anche chi ha solo compreso intellettualmente di non essere separato può fare questa pratica, ma deve mettere in bilancio che si troverà contro più o meno tutti i dubbi della mentre. Conviene in questi caso praticare la pura autoindagine, che è volgere l’attenzione di 180° dall’oggetto percepito al Soggetto percipiente, che è la Sorgente di tutto.