dropping meditation

di ritorno dai 7 giorni di satsanga francese con Ananta Kranti
11-18 settembre

Ciao a tutti.

Cerco di descrivere cosa è successo nella settimana di ritiro in Francia.

La struttura-base del ‘lavoro’ consisteva innanzitutto nei due satsang di due ore circa che Ananta teneva dalle 12.30/13 alle 15 e dalle 17 alle 19 circa, con una certa flessibilità dell’orario d’inizio e fine, a seconda di ciò che ‘avveniva’. Ananta si presentava solo in quelle due occasioni. Per il restante tempo credo rimanesse perlopiù in camera sua, nel silenzio.

Prima del satsang del mattino, nella stessa sala si creava una certa energia ballando liberamente con musiche varie: ritmi etnici, musica meditativa, canzoni pop, brani di disco-music… di tutto. E ci sono stati anche altri momenti di danza estemporaneamente decisi da Ananta, interrompendo o terminando in anticipo un satsang quando sentiva che quella era l’energia giusta.

Uso spesso la parola ‘energia’ perché era usata spesso anche al ritiro. Ananta spiegava il suo metodo/non-metodo dicendo che lei non impartiva insegnamenti ma partiva, senza alcuna preordinata preparazione, dal campo di energia del presente in cui ci muovevamo noi partecipanti, che eravamo seduti a semicerchio (un paio di file) di fronte a lei.

Questo campo di energia era veramente il ‘core’, il nocciolo da cui tutto si sviluppava. Le persone venivano coinvolte e interagivano individualmente con lei se sentivano sinceramente un ‘movimento’ dentro se stesse, se volevano condividere, o se comunque Ananta voleva sondare il loro, diciamo, stato vitale anche con un semplice ‘come stai?’.

Era tutto basato su uno schema alquanto volontario, ma il ruolo di Ananta si sentiva, e alla fine tutti abbiamo finito per avere almeno un paio di colloqui/interazioni diretti con lei… dal nostro posto nel semi-cerchio oppure andando a sederci vicino a lei… con o senza ripresa video… a seconda delle preferenze.

Alle 11 del mattino, prima dei satsang, ci si poteva riunire fra noi in gruppetti di quattro-cinque persone che si creavano spontaneamente per fare ‘heart-sharing’ (condivisioni dal cuore). Doveva essere una innovazione/esperimento o quasi, perché Ananta chiedeva poi durante il satsang se la cosa ci piaceva o no, quanti partecipavano, ecc. … per ‘valutare il grado di soddisfazione’.

Un’altra cosa allo stato sperimentale era la consumazione dei pasti: si mangiava solo il brunch delle 10 di mattina e la cena delle 19/19.30 o 20, comunque dopo il secondo satsang. Non si toccava altro cibo durante tutta la giornata; si poteva invece continuamente bere the e tisane calde da thermos che erano sempre a disposizione e continuamente riempiti. Era chiaramente anche uno sperimentare il rapporto col cibo: come si mangia e quanto si mangia, e con che consapevolezza, quando sai che puoi farlo solo due volte al giorno. E a questo si è anche accennato nei satsang, soprattutto quando Ananta ha autobiograficamente ricordato come la base del suo risveglio avvenuto in prigione sia stata la sua relazione col minimo cibo che poteva consumare, a causa delle condizioni carcerarie su cui non voglio dilungarmi.

In linea di massima si iniziava ogni satsang chiudendo gli occhi per fare una meditazione di circa mezz’ora guidata da Ananta, che lei chiama ‘dropping meditation’ [meditazione del lasciare andare] e che è quella che – qualcuno ricorderà – lei fa anche all’inizio dei meeting on-line come quello che abbiamo visto un paio di mesi fa, e di cui avevo proprio sottotitolato quella prima mezz’ora; quindi c’è la possibilità di rivederlo: si tratta di una meditazione in cui ci si lascia andare in profondità attraverso i diversi livelli per poi raggiungere il Silenzio. Ananta invitava anche a fare questo ‘dropping’ nei momenti liberi del ritiro, i quali erano sì davvero liberi, nel senso che ad esempio neanche il silenzio era obbligatorio ma solo gradito e raccomandato a tutti; però credo proprio che nessuno si sia astenuto dalla meditazione e il silenzio, soprattutto andando avanti nella settimana quando la quiete era ormai calata nella mente di quasi tutti.

Tornando al ‘contenuto’ dei satsang, ho sottolineato come il motore di tutto era l’energia del momento – e questo non sarà una novità per chi di voi è maestro, insegnante o conduttore/facilitatore di gruppi. Ciò che succedeva poteva assumere forme diverse – domanda e risposta, emozioni condivise, pianti e risate, profonde comprensioni della storia della propria vita alla luce della consapevolezza raggiunta: ne ricordo una raccontata con emozione, tranquilla dignità e sincerità da un partecipante uomo più anziano di me che mi suscita ancora brividi.

E quanto alle energie, a una persona un po’ disconnessa come me tanti discorsi di rapporto con la natura, connessione con Madre Terra, essere Uno con l’universo, e così via, presi alla lettera potevano anche suonare come retorica da New-Age. Ma non è stato così, perché quello che ho visto è che ciò che guida Ananta è la sua completa resa all’Essere. Tra le sue parole nei satsang, che lei definisce non sue perché è come se lei fosse parlata dall’Essere, ricorre ‘choiceless choice’, cioè ‘scelta senza scelta’, un’accettazione totale che si esprime in parole che non conoscono compromessi con ciò che È.

Ho sentito parole che a scriverle sembrano dure e rigide mentre a sentirle erano musicali e armoniose: “la Vita è solo Quello, non può esserci minimo compromesso con l’impegno a manifestare l’Essere”; “l’assunzione d’impegno è al cento per cento oppure NON è”; “neanche il più piccolo angolo oscuro della nostra casa può essere sottratto alla luce della consapevolezza, nessuna identità può essere mantenuta per conservarci una sicurezza o una via di fuga”.

Un’altra cosa che ho notato è l’accento che lei mette sulla fase dell’integrazione della propria comprensione nella vita concreta in questa forma in cui siamo nati. Dice che il risveglio è una cosa, e ok, ma che molto più impegnativa può essere, e in genere è, la realizzazione/integrazione della consapevolezza nella vita quotidiana di relazione che abbiamo. Parlava spesso dell’adattamento del sistema nervoso alla condizione di risveglio, che richiede appunto un aggiustamento alla nuova realtà. Capisco che anche questa non è cosa nuova (ormai anche per la spiritualità tutto è stato detto e scritto), però mi ha colpito la serietà e l’enfasi con cui ribadiva questo punto molto di frequente: diceva ad esempio che ci sono persone che dopo il risveglio restano bloccate lì, assumendo magari ancora una nuova identità, quella di ‘risvegliato’, e restando disconnesse dal mondo [commento di Sergio: se hanno assunto un’altra identità vuol dire che quel risveglio è stato temporaneo altrimenti è impossibile distaccarsi dalla vastità del silenzio impersonale che è la vera identità].

Questo aspetto di concretezza si vedeva anche nella presenza di due terapisti che Ananta ha portato con sé e che hanno tenuto sessioni di lavori energetici che avevano a che fare con la respirazione, il sistema ormonale, il rilassamento nel parasimpatico, l’espressione di emozioni. Ho partecipato ad un lavoro sul respiro, che poi è il Rebirthing, consistente nel praticare per un’ora circa una respirazione circolare profonda e anche accelerata che fa emergere molto del nostro vissuto, emozioni, ricordi e traumi. È una pratica buona per me, ed è stata una benedizione. Dopo aver pianto molto, poi riso, e poi di nuovo pianto, alla fine mi son trovato in uno stato di tale silenzio da non poter credere alle mie orecchie, letteralmente. E in questa quiete beata sono rimasto fino alla fine. Anche ora che mi guardo intorno in questo ritorno all’ordinarietà quotidiana, mi sembra di sentire una nuova qualità, direi più pulizia e limpidezza nel guardare questa ordinarietà, e questo è stato per me la cosa preziosa che ho portato a casa da questo ritiro.

Grazie! E grazie perché come mi diceva Paola siete stati così vicini a noi quando eravamo lì

Gian

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