Sri Yukteswar insegna al giovane Yogananda
a non trascurare i propri doveri sociali
Il Furto del Cavolfiore
da ‘Autobiografia di uno Yogi’ di Paramahansa Yogananda
Ananda Edizioni
«Maestro, un dono per voi! Questi sei enormi cavolfiori li ho piantati con le mie mani; ne ho seguito la crescita con la tenera sollecitudine con cui una madre accudisce il proprio figlio». Presentai il cesto di ortaggi con un ampio gesto cerimonioso.
«Grazie!». Sri Yukteswar mi rivolse un caldo sorriso di apprezzamento. «Per favore, mettili nella tua stanza; ne avrò bisogno domani per una cena speciale».
Ero appena arrivato a Puri per trascorrere le vacanze estive con il mio guru nel suo ashram situato sulla riva del mare. […]
Il mattino successivo mi svegliai presto, rinvigorito dalla brezza salina del mare e dall’attrattiva di ciò che mi circondava. La voce melodiosa di Sri Yukteswar stava chiamando […]: «Venite, andiamo in spiaggia». Il Maestro faceva strada, mentre io e numerosi giovani discepoli lo seguivamo in ordine sparso.
«Alt!». Gli occhi del mio guru cercarono i miei. «Ti sei ricordato di chiudere a chiave la porta posteriore dell’ashram?».
«Mi pare di sì, signore».
Sri Yukteswar rimase in silenzio per qualche istante, trattenendo a stento un sorriso che gli affiorava sulle labbra. «No, te ne sei dimenticato» disse infine. «La contemplazione divina non deve diventare una scusa per la negligenza sul piano materiale. Hai trascurato il tuo compito di custodire l’ashram; dovrai essere punito».
Pensavo stesse scherzando in modo enigmatico quando aggiunse: «I tuoi sei cavolfiori presto saranno solo cinque».
Agli ordini del Maestro, facemmo dietrofront e ritornammo a passo di marcia finché non fummo vicini all’ashram.
«Fermati un attimo, Mukunda, e guarda oltre il recinto alla tua sinistra; osserva quella strada laggiù. Vi arriverà un uomo, fra poco: sarà lo strumento del tuo castigo».
Celai il mio disappunto di fronte a queste affermazioni sibilline. Un contadino apparve ben presto sulla strada; danzava in modo grottesco e agitava le braccia compiendo gesti privi di senso. Quasi paralizzato dalla curiosità, incollai gli occhi sull’esilarante spettacolo. Quando l’uomo giunse a un punto della strada in cui stava per scomparire dalla nostra vista, Sri Yukteswar disse: «Ora tornerà di nuovo sui suoi passi».
Prontamente il contadino cambiò direzione e si diresse verso il retro dell’ashram. Attraversando un tratto sabbioso, entrò nell’edificio dalla porta posteriore. Effettivamente non l’avevo chiusa a chiave, proprio come aveva detto il mio guru. L’uomo riapparve poco dopo, con in mano uno dei miei preziosi cavolfiori. Ora procedeva a grandi passi con aria rispettabile, investito della dignità del possesso.
La farsa che si stava svolgendo, in cui il mio ruolo sembrava quello della vittima disorientata, non era così sconcertante da impedirmi di lanciarmi, indignato, all’inseguimento. Ero giunto a metà strada quando il mio Maestro mi richiamò. Era scosso da capo a piedi dalle risate.
«Quel povero pazzo moriva dalla voglia di un cavolfiore» spiegò fra scoppi d’ilarità. «Ho pensato che fosse una buona idea lasciare che ne prendesse uno dei tuoi, così mal custoditi!».
Mi precipitai in camera mia, dove constatai che il ladro, evidentemente un fanatico delle verdure, non aveva toccato i miei anelli d’oro, l’orologio e il denaro, rimasti tutti bene in vista sulla coperta. Si era invece intrufolato sotto il letto, dove uno dei miei cavolfiori, completamente nascosto a uno sguardo casuale, aveva destato il suo interesse esclusivo.