Su Vipassana e Dimorare nel Sé si dorrebbe scrivere un capitolo a parte. Io le consideri entrambe vie di Jnana. Non c’è niente che porti al controllo della mente (della reazione alla sensazione e quindi della produzione mentale condizionata) come la Vipassana. Gli step o realizzazione che si ottengono con tale pratica sono dettagliatissimi. Ma si può praticare a lungo senza sapere chi siamo. Ciò perché solo quando l’osservare si rivolge a se medesimo si ha il riconoscimento del Sé. Col la Vipassana si arriva a un punto in cui l’osservare diventa così potente da trasformare all’istante qualsiasi impressione che appaia nel vuoto. La goal però non è trasformare tutto in vuoto, ma far sì che sparisca l’osservatore stesso. Quando l’osservatore è ancora presente, anche l’osservare neutro è inevitabilmente un’azione. La forte osservazione della Vipassana mantiene a lungo l’aspirante nel divenire. Egli giunge a vedere la vacuità, ma continua per lungo tempo a esserci lui come osservatore…
Di contro l’autoindagine porta subito all’esperienza diretta (in Ritiri come l’Intensivo di Illuminazione), ma lascia l’aspirante completamente sguarnito e impreparato contro gli attacchi della mente. È tipico incontrare praticanti di questo tipo che hanno facilità a permanere nel Sé e allo stesso tempo sono completamente in balia della mente quando le impressioni più dark del nucleo della personalità emergono. Per questo io invito i miei allievi a studiare la meditazione Vipassana e acquisire una certa dimestichezza con questa praticarla.
Ancora una volta mi sento di magnificare la pratica della Bhakti affiancata al Dimorare nel Sé. È la Bhakti che consente di ritirarsi nella Pace della pura Non-Azione del Sé e lasciare che prakriti, cui appartiene il corpo-mente, badi a se stessa. È l’abbandono che deriva dalla Bhakti a far sì che l’aspirante sia in grado di rinunciare ad affrontare la vita aggrappato alla propria conoscenza acquisita – che altro non è che ‘memoria passata’ con cui vede le cose sempre allo stesso modo – e affronti la vita aperto, senza preconcetti, come esperienza sempre nuova e sorprendente. “Gioia gioia gioia, sempre nuova gioia” cantava Yogananda. Quando tale serenità è resa possibile dalla Bhakti, sparisce anche l’immagine proiettata di noi stessi, che non è altro che un meccanismo di difesa che fa apparire una vita duale, fatta da accadimenti che capitano alla nostra immagine umana proiettata, che si srotolano attraverso un tempo lineare, un divenire. Quando questa immagine proiettata sparisce, e ci si disabitua ad autodefinirsi, a localizzarsi – perché come Soggetto ultimo non possiamo conoscere noi stesso come oggetto della conoscenza (l’occhio non vede l’occhio) – SI ENTRA IMMEDIATAMENTE NELLO STATO UNITIVO: NIENTE PIÙ DUALITÀ! L’io sparisce. È una morte dell’ego che può avvenire solo per amore: “e il naufragar m’è dolce in questo mare”… non per volontà.
È così che la Devozione a Dio si tramuta nel Dimorare nel Sé, che – come insegnava Sri Ramana Maharshi – è la più elevata delle devozioni.