In questo post parlerò di bhakti non per aprire i cuori, ma rivolgendomi alla ragione, così apparirà che ne parli come se fosse uno strumento. In effetti è così. Bhakti è Dio stesso, ma qui io sottolineo la sua ‘funzione’ all’interno di una sadhana jnana.
Per me Jnaneshwar ha ragione nel mettere in rilievo bhakti! Bhakti nella sadhana jnana è il facilitatore per eccellenza; ed è anche un’assicurazione verso deviazioni e fughe dalla via. Jnaneshwar addirittura dice che bhakti dovrebbe essere l’inizio della sadhana. Ma in tal modo, io penso, dissuaderemo molti aspiranti orientati alla conoscenza.
Il mio punto di vista è che bhakti dovrebbe essere sostenuta quando l’aspirante jnani arriva a vedere bene che lui è il Sé e che tutto è il Sé. Da quel punto in poi egli non dovrebbe più permettere la permanenza di sentimenti negativi. Quando questi compaiono, egli, con la forza della volontà, dovrebbe espandere il suo amore, col massimo sforzo se necessario. Ora può farlo perché egli sa che tutto è Dio; perciò, invece di soggiacere in sentimenti negativi, deve rilanciare l’amore, e così facendo si abbandona alla Verità, a Dio, al Sé.
C’è un mio amico che voleva conoscere la tecnica per il samadhi. Quello che ho appena detto è il primo passo ‘diretto’ verso il samadhi.
E se c’è una persona che proprio non vi va giù? Alcuni, come Lester Levenson ed altri, si sono concentrati fino a raggiungere il completo amore divino verso quella persona. Io ho preferito la via di minore resistenza. Ho espanso l’amore verso ogni cosa, e verso Dio oltre ogni cosa, a partire da ciò che mi veniva meglio amare, fino a che quei punti di maggiore avversione non si sono spontaneamente attenuati. La successiva immersione nel samadhi li dissolve tutti.
Ce la si può fare anche non seguendo il mio consiglio, ma il secondo passo diretto verso il samadhi risulterà parecchio più difficile e di più lunga durata.