— Mi estraneo dal percepito… Resto solo io. Ti farò sapere cosa succede… Bella questa sadhana.
— Questa non è la sadhana, è solo l’inizio. È il frutto della pratica del testimone e di neti-neti. Puoi ringraziare questa pratica e andare oltre.
Questo ‘resto solo io’ come lo percepisci?
Come pura Coscienza, come puro Essere, come Presenza consapevole, come Io universale?
In qualunque modo ti piace percepirlo, quello è il Sé percepito dalla mente sattvica, cioè la mente che ha separato il Sé dal non-Sé.
Ora la sadhana consiste nel mantenere l’attenzione su questo Sé che percepisci, in modo da non confonderti col personaggio del sogno né col sogno stesso.
Nella meditazione formale fai un dolce intento di divenire Uno con Esso, in modo da aprirti gradualmente al samadhi.
C’è una storia zen che racconta di un famoso Roshi che attraversa un villaggio. Un abitante gli si avvicina e chiede un consiglio per la sua pratica spirituale.
“Attenzione” dice il Roshi.
“Grazie Roshiji; potresti spiegarmi meglio?”.
“Attenzione, attenzione”.
“Grazie; potresti dire qualcosa di più?”.
“Attenzione, attenzione, attenzione”.
“Ti ringrazio molto, ma avrei bisogno di maggiori chiarimenti”.
“Attenzione, attenzione, attenzione, attenzione”.
Non dimenticare questa parabola.
Sri Ramana Maharshi diceva “la distrazione è morte” e ha sempre enfatizzato l’importanza della Concentrazione. Diceva “Questa Concentrazione si trasformerà nello stato naturale”. Ma se uno ha l’attenzione come un colabrodo, allora è come quei cavi della corrente che hanno così tanta dispersione da non riuscire a portare l’energia a destinazione. La nostra destinazione è la Liberazione, perciò allena la tua attenzione a rimanere sul Sé! Questa è la tua sadhana.
Non è facile (perciò sii buono con te stesso), ma nessuno ha detto che la Liberazione sia facile. Però, quello che sembra impossibile oggi, diventa naturale domani. È così nella spiritualità, si procede per salti quantici. Raggiunta una certa massa critica attraverso la pratica, si ottiene il salto di livello.