Parafrasando Hamlet: è più nobile solo accettare
oppure prender le armi e compiere sforzi per correggere?
Questo il problema…
Spesso incontriamo maestri che dicono che non dobbiamo desiderare di cambiare, che dobbiamo accettare le cose così come sono, e altri invece che esortano al cambiamento. Chi ha ragione?
Il mio parere:
Se dici a qualcuno che ha una mente tamorajasica di abbandonarsi a ciò che è, lui si abbandona alla mente! Perciò non far niente in questo caso porta a niente, cioè: non funziona. È la mente sattvica che vede la Verità, e diventa la Verità. Anzi, Sri Ramana ha detto: La mente sattvica è il Sé – il che non stupisce dato che la mente così come normalmente la consideriamo è un ammasso di impressioni sovrapposte alla Verità.
Dunque se hai un allievo con una mente tamorajasica devi inventarti delle tecniche, una sadhana per fargliela purificare e permettergli di vedere il Sé! Altrimenti a cosa si abbandona???
Dai Satsangha di Francis Lucille:
Domanda: — Ho capito che non c’è posto in cui andare né qualcosa da fare, però si è insinuata una certa pigrizia unita alla sensazione che tutto vada bene.
Lucille: — Gli sforzi che si compiono assumono valenza spirituale quando ci conducono all’universale superando i limiti del personale. In quel momento diventiamo ricercatori di verità. Questo desiderio della verità assoluta deriva dalla libertà stessa. Però siamo così attaccati alla credenza di essere un’entità personale che non siamo ancora disposti a dare credito alla possibilità di essere già la coscienza che stiamo cercando e a credere che essa sia la nostra vera natura.
In apparenza c’è un qualcuno che vuole liberarsi da vincoli e nodi e c’è il suo sforzo per riuscirci. Un tale ricercatore spirituale può percorrere diverse vie, e tutte finiscono per condurre allo stesso punto: quando comprendiamo profondamente che non esiste un’entità separata, sia essa prigioniera o in cerca di libertà o già liberata, allora siamo arrivati alla fine. È la via diretta. Il che non significa che tutto quanto fatto prima non sia stato necessario. Ogni singolo elemento del viaggio è servito per condurci fin lì, ma ora non c’è da fare niente. Una volta arrivati lì, di cosa preoccuparsi?
E aggiunge: — L’idea che ci sia qualcosa da fare nasce sempre dall’impressione che le cose non vadano bene così come sono, che dovrebbero essere diverse. È su questo che dobbiamo interrogarci. Questa idea deriva sempre dal concetto che felicità e pace dipendano dalle circostanze, e quindi che potremmo trovarle se cambiassimo le circostanze stesse. Tuttavia, tutto ciò che è presente adesso è già nella pace. La pace è il contenitore universale di tutte le cose. Non dobbiamo assicurarci la pace: ogni cosa è fatta di pace. Una volta compreso questo, non cercheremo più di cambiare le cose perché ci renderemo conto che la situazione è già fatta di pace: è pura pace!
Serio:
È giusto, ma bisogna capirsi: qualcosa c’è da cambiare, eccome! C’è da cambiare il fatto che crediamo di essere un oggetto esterno, cioè un fenomeno, anziché il Soggetto che percepisce i fenomeni. Questo è da cambiare!! E il più delle volte richiede impegno, diverso da un aspirante a un altro. Solo di Sri Ramana so, per sua stessa ammissione, che non ebbe mai una sadhana: scoprì il vero IO e non si mosse mai più da lì.