Gli aspiranti non sanno come uscire dalla dualità, perché anche tutta la sadhana con sforzo è fatta dall’ego. Se ci si propone: “Ogni giorno che passa diverrò sempre più buono”, l’ego sopravvive tranquillamente. Sopravvive anche come flagellante penitente.
L’UNICA COSA CHE DISSOLVE L’EGO È IL SAMADHI! Possiamo dire che tutta la sadhana prima del samadhi ha valore solo in quanto preparatoria al samadhi. Anche nell’ottuplice sentiero di Patanjali, per quanto diversissimo dalla via diretta, il samadhi è l’ultimo passo, ed è anche la realizzazione quando il samadhi diventa ininterrotto.
L’ego sparisce solo col samadhi. All’inizio ritorna quando il samadhi si interrompe, ma continuando a praticare, il samadhi diverrà sempre più costante in ogni momento della tua giornata. Infine il nodo dell’identificazione con l’ego viene reciso e si entra nello stato naturale.
IL SAMADHI È LO STATO NATURALE! Ciò che è innaturale è la dualità. Infatti nella dualità c’è sofferenza.
Ma come si arriva al samadhi?
Io non so quanta distanza vi sia tra un aspirante e il samadhi, ma posso dire come ci si arriva. Invece di coltivare l’idea d’essere separato, sentiti Uno col Tutto. Durante la meditazione formale fai uno sforzo gentile per fonderti col Tutto. Non preoccuparti se i tuoi tentativi sono goffi, è la tua intenzione che ti porterà avanti a colmare la distanza che c’è tra te e il samadhi.
Un grande ruolo lo svolgono l’amore e la devozione al Divino. Devi giungere a sentire che ogni espressione della manifestazione è Amore di Dio, per quanto possa apparire indesiderata dal punto di vista umano.
Il secondo punto del Vademecum per la Liberazione: “Renditi conto che l’esperienza non è separata da te” è un invito Fonderti col Tutto; il terzo e quarto punto: “Renditi conto che c’è una parte dell’esperienza che non cambia” e “Renditi conto che la parte che non cambia sei Tu” sono un invito a Fonderti col Soggetto Ultimo, col Sé. In ogni caso è sempre il samadhi a cui si arriva da due prospettive diverse.