— Maestro, è molto potente la sadhana del puntino nero. Ieri sera ho praticato per circa un’ora e mezza – non senza qualche difficoltà… Stamattina mi sono svegliato abbastanza presto, nel solito stato malinconico e ho iniziato a praticare la concentrazione sul puntino nero per circa tre quarti d’ora ascoltando la musica dell’Arati. Dopo un po’ di tempo la malinconia se ne è andata e sono entrato in uno stato abbastanza neutrale, con un leggero flusso di energia. Ora mi trovo in quello stato e non c’è quasi bisogno di praticare ‘ama ciò che appare’ perché non emerge quasi nulla.
— La concentrazione crea un flusso di attenzione unidirezionato che non permette alla mente di disturbare.
Se l’oggetto della concentrazione è il Soggetto Ultimo stesso (l’Io, l’Essere, la Consapevolezza, la Presenza), la concentrazione porta a fondersi nel Sé, ad avere quindi l’esperienza diretta, non duale del Sé. Se l’oggetto della concentrazione è qualcos’altro, ciò che è importante non è l’oggetto su cui ci si concentra, ma la concentrazione stessa.
Vi sono aspiranti che anche dopo numerose esperienze dirette del Sé non riescono a controllare la mente, il che vuol dire che ne sono predati in qualche misura. In questo caso io do loro un esercizio di concentrazione molto semplice: “chiudi gli occhi e concentrati su un puntino nero”. Chiarisco che non è importante il puntino nero. Se loro praticano con uno spirito di performance cercando di vedere al meglio possibile questo puntino e aspettandosi chi sa che da quell’oggetto, si coinvolgono con un oggetto esterno mancano lo scopo dell’esercizio.
Lo scopo è fermare la mente: quando si mantiene l’attenzione fissa su qualcosa, la mente si ferma. Poiché all’aspirante è stato detto che l’oggetto non è importante, presto è la concentrazione stessa che risalta in primo piano; allora il Sé testimonia l’esercizio di concentrazione dando luogo a una sorte di: concentrazione nella/sulla concentrazione.
Mi si potrebbe chiedere: perché allora non fai concentrare sul ‘pensieri io’ come ha insegnato Sri Ramana? La risposta è semplice: perché quell’aspirante non è riuscito a fermare la mente con quel tipo di concentrazione (che è molto più difficile e coinvolgente in quanto richiama tutte le identificazione con l’io separato: l’ego) e ha bisogno di un esercizio più semplice per diventare consapevole della concentrazione.
“Questa corrente di consapevolezza, sostenuta da uno sforzo continuo, diventa sempre più forte e costante ed infine porta all’Autorealizzazione, al sahaja samadhi, lo stato in cui la pura e beata consapevolezza è costante e ininterrotta, senza impedire le normali percezioni e attività della vita”, dice Arthur Osborne, autore di una celebre biografia su Ramana.
“Questa concentrazione sostenuta da sforzo, diventa lo stato naturale”, dice più semplicemente Sri Ramana.
Nulla di più vero!!! A un certo punto la concentrazione diventa autonoma e opera automaticamente, e tu Giorgio hai avuto questa esperienza. Allora la mente non è più in grado di disturbare e la concentrazione diventa la colonna vertebrale su cui poggia il sahaja samadhi, lo stato naturale di ininterrotta permanenza nel Sé.
Avere una mente fuori controllo è come essere Cappuccetto rosso che viaggia nel bosco dei lupi cattivi: SEI UNA PREDA!!
Ecco perché subito dopo un Ritiro spirituale ci si sente come promossi a un livello spirituale superiore: la concentrazione che è stata allenata per tutto il Ritiro si è rinforzata e continua per un po’ anche dopo il Ritiro; poi gradualmente decade e si diventa di nuovo vittime della mente con qualche miglioramento. Ma continuando a praticare, e partecipando Ritiri intensivi con una frequenza ravvicinata – minimo uno ogni due mesi – a un cento punto la concentrazione non decade più – niente più l’effetto raffreddamento – e il vortice di ‘concentrazione nella concentrazione’ vi porta a diventare stabili nel Sé.
C’è un’altra cosa da dire: Il POTERE SPIRITUALE DERIVA DALLA CONCENTRAZIONE!
È questa concentrazione che crea le siddhi, i poteri. I poteri appaiono prima della completa realizzazione, quando vi è ancora traccia di ego, per quanto sottile possa essere. Perciò Sri Ramana insegnava che l’aspirante Jnani deve rinunciare alla siddhi, altrimenti risorge l’ego. Lo Jnani liberato possiede tutte le siddhi, ma avvengono spontaneamente, così che lo Jnani rimane sempre e solo il Testimone, nella completa non-azione.
Ma come fa l’aspirante ad esser certo che un potere si stia manifestando attraverso di lui per volontà di Dio o del suo ego? Ecco l’antidoto: l’Autoindagine Attraverso l’Amore.
Non vi è ombra della mente che possa rimanere nascosta alla luce dell’Amore e della Devozione al Sadguru! ❤