All’inizio della sadhana l’aspirante deve fare delle pratiche (crescita personale) che lo aiutino a calmare la mente, perché con la mente agitata non può vedere la pura Coscienza (il Sé). Una volta che ha visto la pura Coscienza, deve riferirsi a quella come alla Sua Vera Identità e non più all’identità personale.
Ora però ha il problema di stabilirsi in quella pura Coscienza. In questa seconda fase possono rendersi ancora necessarie pratiche di crescita personale per rendere la sua mente più pura – incluso l’eliminazione dei sensi di colpa e l’acquisizione di merito. Ma non bisogna cadere nell’errore di credere che attraverso la crescita personale si arrivi all’illuminazione. Se l’aspirante cade in questo errore non comprenderà cosa c’è da fare nella terza.
L’illuminazione è un salto quantico: dall’identità personale alla pura Coscienza, che rimane immutata, inalterata e indifferente di fronte a tutti i movimenti del mondo esteriore ed interiore. Ciò fa crollare i desideri, e con il collasso dei desideri si dimora spontaneamente nel Sé – infatti l’illuminazione non deve essere conquistata, già c’è ed è naturale.
Non sto dicendo che la crescita personale sia inutile. Si può imparare una lingua, andare in palestra, migliorare la dieta… Tutte ottime cose, ma che riguardano la vita, che è un sogno, e il personaggio del sogno, anch’esso illusorio.
Osservata dal punto di vista della pura Coscienza, la crescita personale non c’entra niente con l’illuminazione. Se all’illuminato si presentano desideri o paure, egli non sente che gli appartengono e la pura Coscienza (Chi egli è veramente) si limiterà a testimoniarli rimanendo inalterata.
Ma disintossicarsi dalla spinte della mente richiede in genere un certo tempo. Perciò, la terza fase consiste nel dimorare nella pura Coscienza fino a quando non si è più portati fuori dalle spinte della mente; fino a quando cioè non ci si identifica più con esse. Allora la realizzazione è definitiva e irreversibile.