Molti aspiranti, pur avendo molte esperienze dirette, continuano a confliggere con la vita e quindi a cadere nuovamente nella ragnatela della mente. Essi dovrebbero sostenere con tutte le forze del loro intelletto la memoria di non essere separati dai fenomeni, qualsiasi cosa essi siano, che si stanno presentando alla loro percezione.
Allego a riguardo un illuminante testo di Eric Baret:
Quando si realizza la comprensione della non separazione, la percezione non crea più una stimolazione della sensorialità ma, al contrario, un’attenzione totale. Quando non ci si cerca più nell’attività, la tranquillità diventa recettività.
Poiché la coscienza può percepire un solo oggetto per volta, c’è totale attenzione a quel che succede [e da tale attenzione totale risulta una ininterrotta presenza consapevole]. Tale presenza, che non chiede né rifiuta niente di quel che viene percepito, è ‘concentrazione naturale’, libera dall’immagine di essere concentrati.
L’eliminazione della percezione nel percepito è ‘meditazione’: eliminata la percezione oggettiva, resta una recezione pluridimensionale.
Il riassorbimento del percepito nel percipiente si compie attimo per attimo. La percezione è la morte del percipiente. In un’attenzione purificata, il dissolvimento della percezione e del percipiente è il ‘samadhi’. Non più un samadhi interiorizzato da cui prima o poi deriva l’immagine di un asceta, ma lo ‘stato naturale’: il sahaja, la cui onnipresenza si può esprimere in coscienza che racchiude ciò che appare diversa da essa (lo stato di unione, samprajnata samadhi) o coscienza che dissolve tutto ciò che è diverso dalla pura consapevolezza trascendente priva di qualsiasi contenuto (asamprajnata samadhi).
Eric Baret