— Trovo che nella coscienza manchi un contenuto di cui non so dire nulla; possono solo testimoniarne l’assenza, senza però averne mai testimoniato la presenza.
— Secondo la mia esperienza, che non si può dire conclusiva, è come quando sfochi la vista e guardi nel vuoto: non si può dire che vedi e non si può nemmeno dire che non vedi, è come uno stato della vista in standby. Riguardo a turiyatita io credo che la migliori definizione la diede Rajiv: non si può dire che vi sia coscienza e non si può dire che non vi sia… È come uno stato della coscienza in standby.
È lo stato di maggior autoassorbimento della coscienza. È come fosse uno stato di coscienza precognitivo. Non è la coscienza che identifica: Ah è questo!! E per ‘identificare’ intendo anche ‘identificare se stessa’.
Dico che la mia esperienza non si può dire sia conclusiva, non perché non sono certo di questa esperienza, ma perché non so se si evolve e come; personalmente non credo che cambi, che si trasformi in uno stato di coscienza sempre autoidentificativa, però chissà?…
Roberta esprime questa esperienza a parole sue. Lei dice che la coscienza ‘rimane incantata’ da se stessa, e aggiunge: “è, ma non sa di essere”. Questo ‘rimanere incantata’, ‘essere e non sapere di essere’ esprime lo stesso stato del guardare senza vedere, della coscienza in standby, cioè turiyatita.
Però, direbbe Lucille, chi è lì a cogliere questo stato di coscienza autoassorbita se non la coscienza stessa? Dunque per me il punto non è se vi sia qualcosa prima della coscienza, non è coscienza o non-coscienza, ma è conoscere o non-conoscere. Comprendete la differenza? Vedere e sapere cosa vedi, o addirittura che stai vedendo, sono due cose diverse. Per me il ‘vedere’, cioè la coscienza, c’è sempre, mentre il ‘sapere’ cosa si vede o che si sta vedendo può esserci come no.
Io penso che noi dobbiamo fare chiarezza distinguendo ‘coscienza’ da ‘conoscenza’. la coscienza non nasce: è! Mentre la conoscenza nasce e si sviluppa. Da cosa nasce? Dalla diade, dalla dualità.
Così possiamo interpretare, poeticamente parlando, l’intera manifestazione come il ‘gioco’ attraverso cui Dio conosce se stesso: il figlio (il jiva, la coscienza individuata) che riconosce di essere il Padre (la Coscienza Assoluta, il Paramatma).
Se voi mantenete l’idea che la coscienza abbia delle interruzioni bloccherete la vostra autoindagine rendendola difficilissima! Dovete PROFONDAMENTE capire che siete sempre presenti, immutabili, attraverso qualsiasi stato e condizione del mondo fenomenico; questo dà rilassatezza e sollievo e distacco dal tran tran quotidiano. Inoltre l’idea erronea che la coscienza abbia interruzioni manterrà in vita la paura della morte, perché la coscienza siete voi!