Due giorni dopo aver ricevuto la pratica di fare un intento di diventare Uno con l’Io (vedi post “Il Guru viene prima di Dio”), l’allievo scrive al Guru:
— Avrei una curiosità. L’altro giorno hai accennato ai sette livelli evolutivi menzionati dal Sanatana Dharma. Potresti dirmi dove posso trovare questi materiali?
— Come sta andando la pratica?
— Non benissimo, nel senso che ieri e oggi sembra difficile stare con l’io e provare ad unirmici.
— Possiamo provare insieme al telefono?
— Si, volentieri.
Al telefono l’ho guidato nella pratica:
“Individua la sensazione di Io”. “Sì”. “Fai un intento di diventare Uno con l’Io”. Lungo silenzio, intervengo: “Come sta andando?”. È recalcitrante perché ha il preconcetto che non si possa parlare di quegli stati. Insisto: “Chi eri tu dopo che hai fatto l’intento di diventare Uno con l’Io?”. Silenzio. Mi rendo conto che è ancora in quello stato e insisto: “Chi sei in questo momento”. Con resistenza risponde: “Ma, non so dire”. “Dì comunque qualcosa”. “Ma… non sono niente, ci sono, non ci sono…”. Capisco che mi sta dicendo che non c’è l’ego, e continuo: “C’è qualcosa fuori da te?”. È recalcitrante. Insisto dicendolo diversamente: “C’è separazione? C’è qualcosa che è separata da te?”. “Vedo degli oggetti a varia distanza”. “Benissimo. E questi oggetti che vedi a varia distanza sono separati da te?”. Ci pensa a lungo e poi dice: “Non posso dire che siano separati”. “Ok. Esiste lo spazio?”. Non risponde. Glielo dico con altre parole: “C’è un qui e un lì?”. “C’è solo un qui”. “Perfetto: questo è lo stato unitivo, il samadhi”. “Ma è lo stesso stato che ho normalmente”. “Lo so. La questione è che tu svaluti lo stato in cui sei normalmente perché hai il preconcetto che il samadhi debba essere come in quelli che tu chiami “i 10 giorni di grazia” in cui hai vissuto una continua esperienza esaltante, e pensi che la liberazione debba essere così o forse ancora più esaltante. In questo modo non riconosci di essere sempre, o quasi sempre – lo vedremo – in un samadhi spontaneo senza sforzo, e quindi non progredisci. Ti limiti a chiamare quei momenti ‘quando sono senza pensieri’. Ma una mente vuota non necessariamente è un samadhi. Può essere una cosa abbastanza noiosa e priva di ‘vita’. Se tu invece di svalutarli a causa dei tuoi pregiudizi li riconosci per quello che sono, cioè samadhi, essi gradualmente ti mostreranno il loro diafano valore.
“Sei come il barbone che trova un coccio di vetro e se lo mette in tasca. Quel coccio è in realtà il più grande e puro diamante che esista sulla Terra. Potrebbe renderlo ricchissimo. Ma il barbone non lo sa e rimane tale, nessun progresso.
“Ti avevo detto dall’inizio che avevi samadhi spontanei senza sforzo, ma non era chiaro fino a che punto. La tecnica di fare l’intento di divenire Uno con l’Io ci ha permesso di vederlo. Non poteva funzionare perché sei già l’Uno senza secondo! È come se avessi dato a qualcuno che è già seduto, ma non se ne rende ben conto, una tecnica per sedersi.
“Ora quello che devi fare è notare se vi sono dei momenti in cui questo samadhi spontaneo”.
Cita una volta in cui era tornato dal lavoro e aveva uno stato d’animo negativo. “Vai a quel momento”. È ancora recalcitrante a eseguire questa istruzione perché non crede si possa fare o che sia difficile farlo. “Eri separato da quello stato d’anime negativo?”. “Non c’era separazione. Anzi, mi sono ritirato ancora più nel Sé e lo stato d’animo negativo è sparito”.
“Perfetto. Lo stato unitivo, non duale, è lo stato naturale. Tutto quello che devi fare adesso e dimorare in questo stato e notare se vi sono delle interruzioni – io non credo vi siano.
“Renditi conto che questa è già l’Illuminazione. Dopo un certo periodo di illuminazione, le vasana verranno completamente bruciate. Allora sopraggiunge manonasa, la definitiva distruzione dell’identificazione con la mente. Manonasa però non è un’esperienza forte, lo jnani potrebbe non notarla se non sa della sua esistenza. In quella esperienza egli vive che l’intera manifestazione viene riassorbita nel Cuore. In ogni caso, dopo manonasa l’Illuminazione diventa senza ritorno.
“Sappi, inoltre, che finché vi sono ancora vasana, l’Illuminazione va attraverso degli approfondimenti; ogni volta che delle vasana si dissolvono, l’Illuminazione si fa più profonda.
La telefonata si conclude, ma il nostro dialogo continua ancora per un po’ per iscritto:
— Se nutri dubbi sulla tua Illuminazione, ti consiglierei di parlare con gli altri jnani della nostra famiglia.
— Non nutro dubbi, per fortuna, perché sento essere qualcosa di ‘vivo’. Al tempo stesso non posso fare a meno di ‘voler completare’ il quadro, pur sapendo che non è nelle mie mani. Ciò che posso fare è rimanere Qui, esprimendo gratitudine e devozione per Questo [il Sé] 🙏 —.
Capisco che non ha ancora le idee chiare. Aspetta ancora qualche esperienza più grande che debba arrivare da qualche parte e continua a sottovalutare il suo stare nel Sé. Provo a dirglielo:
— Dalla frase “non posso fare a meno di voler completare il quadro” si ravvisa una mancanza di abbandono al Sé, e al contempo una spinta che nasce dai tuoi preconcetti.
Hai mai pensato che Dio è esattamente ciò che è, anche nel senso che è ‘esattamente ciò che appare’? Questa tua proposizione manterrà in essere una certa dualità, non credi? Invece di ‘Essere’, sarai proiettato in un divenire.
Adesso che hai capito di essere nel Sé, dovresti mollare il desiderio di liberazione. A questo punto è un ostacolo. Ti rimando al post di Shivananda su La via della marmellata di albicocche —.
Non risponde, ci starà riflettendo. Io intanto penso: “Ho fatto il mio lavoro. Lasciamo che il frutto abbia tempo di maturare; quando sarà maturo cadrà da solo dall’albero”.