felicità

Dai Satsangha di Francis Lucille:

Domanda: — C’è un continuo alternarsi di felicità e tristezza. È possibile restare solo nel sentimento di libertà ed esistenza senza il senso di “Io sono felice” e “Io sono triste”?

Lucille: — I sentimenti “io sono felice” e “io sono triste” perpetuano la nozione di una persona che è felice o triste; questo concetto è il seme dell’infelicità. Essere felici come persona, come entità separata, è totalmente impossibilità. Se rivendichiamo di essere felici, la felicità se n’è già apparentemente andata. Quando siamo felici non sappiamo di esserlo, perché la felicità richiede un’innocenza infantile. Quando un bambino è felice, non sa di esserlo,non lo elabora, gioisce semplicemente. Questa è un situazione molto diversa da quella in cui creiamo un’identità desiderosa di felicità, pretendendo poi che sia felice e lamentandoci se non lo è.

Quando siamo liberi dai concetti, noi siamo questa felicità! Il combinaguai è la convinzione di essere separati. La comprensione di essere il testimone, la coscienza, e non il corpo-mente, ripristina la libertà. Comprendiamo questo prima concettualmente; tale comprensione intellettuale va in profondità ed è di gran valore perché contiene già in sé un barlume di verità. Più avanti andiamo ancora più in profondità della comprensione intellettuale, e non dobbiamo nemmeno pensarci: siamo già quello! Ci abituiamo di nuovo ad essere ciò che siamo sempre stati.

Domanda: — La felicità di cui si stai parlando ha un opposto?

Lucille: — La felicità che sembra l’opposto dell’infelicità è proprio il sentimento che noi chiamiamo ‘felicità’. Non vi sono due felicità! La felicità è la nostra vera natura, noi tutti la conosciamo. Così come tutti sappiamo a cosa si riferiscono le parole ‘coscienza’ e ‘io’. Il problema è che rendiamo la felicità un oggetto che va e viene, e poi creiamo il suo detentore: un’entità personale che la possiede o la perde. Rendiamo la felicità, che è la nostra natura eterna, un oggetto intermittente. Ma è solo di un errore di comprensione, un falso punto di vista. Tutto ciò che si deve fare è ristabilire la giusta prospettiva e gradualmente ogni cosa andrà al suo posto.

Dire “io sono questo”, “io sono quello” è sempre un errore. Non siamo questo e quello: siamo sia niente che tutto. Dire “sono triste” non risponde al vero. Dovremmo dire invece: “in questo momento sta fluendo attraverso me un sentimento di tristezza”. Se appena lasciamo fluire il sentimento di tristezza, automaticamente e senza rendercene nemmeno conto, prendiamo posto in ciò che non sta fluendo. Per poter essere consapevoli del movimento di qualsiasi cosa che ci attraversa, senza rendercene conto, naturalmente e spontaneamente prendiamo posto nella presenza consapevole, divenendo la presenza stessa in cui quel movimento e quel qualcosa appaiono. Invero questo è l’unico modo per essere la presenza. Questa presenza non è un oggetto, perciò qualsiasi sforzo verso di essa ci colloca in una posizione artificiale, ci reifica apparentemente in un oggetto. Ma lasciando tutto fluire ci troviamo ad essere semplicemente quello che veramente siamo!