La frustrazione e la rabbia sono le principali cause che ci agganciano alle apparenze della vita. L’altra è il dolore, ma questa richiede un distacco ancora maggiore, perciò per ora la tralascerò.
Quando proviamo frustrazione o rabbia verso qualcosa, praticare neti-neti (non sono questo) verso quella apparenza può risultare infruttuoso o dare risultati assai temporanei. È necessario che analizziamo la reazione di frustrazione o rabbia, e lavorare su quella prima di cercare di disidentificarci dalle cause specifiche.
Ad esempio potreste scoprire di nutrire una reattività preconcetta verso tutto quello che turba la vostra quiete relativa. Se un tale approccio rimane, è inutile che andate a disidentificarvi dalle apparenti cause specifiche. Dovreste invece cogliere l’occasione di scomporre le vostra reattività aprioristica e identificarne le identità che la sostengono, e a discendere tutti i sentimenti, le credenze, le memorie ecc. che la sostengono.
Inutile dire che dovreste partire da piccole contrarietà e applicare a quelle il protocollo per i sentimenti di avversione:
– Quale identità sta sperimentando questo sentimento di frustrazione o di rabbia?
– Vedo me stesso che si sente attaccato, impotente, perché.. ecc. ecc.
– Fai un intento di divenire uno con questa identità.
– Fatto.
– Cosa è rimasto?
– Un senso di smarrimento ecc. ecc.
– Fai un intento di divenire uno con questo.
E così via…
Potreste scoprire un’identità, formatasi da bambini, che vi dice che così come siete non andate bene. Questo tipo di identità è quella che maggiormente impedisce l’abbandono. Sanandola l’ego, che è un meccanismo di difesa, retrocede e diviene sempre maggiore l’abbandono al Sé.
Si dovrebbe conquistare un approccio positivo verso le contrarietà (almeno quelle piccole), vedendole come l’opportunità per accrescere la disidentificazione da Maya.