Alcuni aspiranti soffrono di attacchi di panico. È un argomento complesso; vedrò di chiarire alcuni punti.
Solo una minima parte degli attacchi di panico si manifesta in vere e proprie crisi patenti. Per lo più tale sindrome resta latente ed opera a livello subliminale attraverso immagini mentali raffiguranti un’elevatissima ostilità verso chi le percepisce, che inducono sensazioni fisiche – anche queste subliminali – che evocano elevatissima repulsione, tale da rendere quel soggetto un meccanismo stimolo-risposta. Quando il subconscio avverte dette immagini e sensazioni, la persona fa automaticamente qualcosa per rifuggirle. Se la riposta condizionata è ‘avere un nuovo amante’, la persona cercherà un nuovo amante, anche se ciò comporta tradire il coniuge. E se questa persona è etica, orientata alla spiritualità, alle sue sofferenze aggiungerà anche il senso di colpa di quel tradimento…
Qualitativamente l’attacco di panico non è dissimile da una qualsiasi paura inconscia del nucleo della personalità; ciò che lo rende diverso è la carica straripante. Direste che una leggera pressione sull’unghia e una martellata sul dito siano la stessa cosa? L’attacco di panico ha una carica così sopraffacente che, se paragoniamo una paura ordinaria a una granata, l’attacco di panico è una di quelle bombe in grado di disintegrare un intero palazzo composto di molti appartamenti.
Spesso l’attacco di panico si manifesta anzitutto attraverso sintomi fisici: bocca secca, cuore in gola, stomaco e intestini attorcigliati, fiumi di adrenalina nelle vene… il soggetto non riesce nemmeno a capire perché ha paura.
Da qui in poi quello che dirò non si trova sui libri di psicologia, ma sono mie personali convinzioni.
È impossibile definire a priori la causa degli attacchi di panico; potrebbe essere che siate stati ospiti di Auschwitz nella vita pretendente o che abbiate avuto un’infanzia soppressiva. La potenza dell’attacco di panico è dovuta al fatto che molte memorie avversive (le immagini subliminali) si sono agglomerare creando una pressione difficile da confrontare.
Dato che la sindrome da attacco di panico è così potente e per la maggior parte subconscia, il soggetto che la sperimenta sente di galleggiare su un inferno che non sa come placare e che è sempre potenzialmente pronto ad inghiottirlo. Nei casi più gravi sviluppa un complesso di persecuzione: sente che tutto e tutti, compreso Dio, ce l’hanno con lui e stanno tramando contro di lui. Quei genitori che uccidono il coniuge e i figlio e poi loro stessi, a mio avviso alla base soffrono di attacchi di panico così come li ho descritti. Per quanto apparentemente efferato, il loro è un gesto di misericordia teso a salvare i propri cari dall’orrore dell’inferno che percepiscono. Considerate che il desiderio di suicidio nasce dall’insicurezza estrema: la situazione che si vive spaventa a tal punto che si valuta preferibile la morte.
Il pilota della Germanwings che precipitò l’aereo con tutti i passeggeri e l’equipaggio sulla Alpi Provenzali francesi nel marzo 2015, a mio avviso soffriva di attacchi di panico – e quindi di complesso di persecuzione. Dissero che era depresso, ma non basta essere depressi per trascinarsi dietro tutta quella gente. Lessi l’analisi di uno psichiatra che diceva che per sostenere un tale gesto si doveva avere anche un nucleo paranoide: “muore Sansone con tutti i filistei”. Ma cosa porta qualcuno a una tale esaltazione? A mio avviso la sindrome che ho descritto: “l’inferno sempre potenziale e in agguato degli attacchi di panico, il senso di essere perseguitato e alla fine dici: Ok, muoia Sansone con tutti i filistei”…
Per fortuna sono pochissimi quelli che arrivano a gesti così clamorosi. I più sopportano, ma noterete in loro una sofferenza che non riesce a placarsi.
Io ho lavorato con tre studenti che soffrivano di attacchi di panico (uno di loro non era nemmeno consapevole di averne). Erano persone molto intelligenti, con una mente pronta e avevano avuto molte esperienze. Ho lavorato con loro con mind clearing, ma ho fallito. Le sedute erano brillanti: grandi comprensioni, aperture della coscienza, strette di mano e ampi sorrisi a fine seduta. Ma la loro vita non cambiava di un millimetro. Il loro ego inconscio li teneva così lontani da quell’inferno, che tutto il loro lavoro di mind clearing era in realtà superficiale e non scalfiva minimamente quella sindrome. Uno di questi smise di partecipare a Intensivi di Illuminazione; deve aver pensato “Vado lì, ho l’esperienza dirette ma poi non cambia niente della mia vita”.
Purtroppo questi soggetti, se sono aspiranti sulla via di Jnana, spesso invalidano la loro conoscenza del Sé perché non li solleva di un punto dal loro dolore. Non si rendono conto che per creare la miscela virtuosa che possa capitalizzare le loro realizzazioni del Sé e dar loro guadagni anche per la loro vita umana, oltre che sul piano spirituale, devono praticare anche la via di Bhakti. Ma se non lo sanno e continuano a rivolgersi unicamente a Jnana potrebbero non avere risultati.
Coda si può fare?
Ci sono ovviamente le soluzioni farmacologiche. Io le ho suggerite in alcuni casi. Possono essere necessarie in momenti critici, ma un aspirante alla liberazione non può basarsi su quelle, perché sedano il sintomo senza disinnescare alla radice la dinamica. Inoltre alcuni psicofarmaci rendono superficiale la coscienza. Perciò, chi vuole la liberazione, se può fare a meno degli psicofarmaci, deve considerarli una soluzione temporanea.
Cosa si può fare per disinnescare alla radice la sindrome degli attacchi di panico sul piano psicologico e spirituale?
Sono giunto alla conclusione che l’unico metodo per disinnescare la sindrome da attacchi di panico è la Bhakti. Chi soffre davvero di attacchi di panico non può affrontarli direttamente. Quasi sempre non è un’idea vincente dire “mi siedo qui e starò di fronte al mostro finché la consapevolezza non lo dissolverà”. È più facile che siate sopraffatti, che entriate in stati sempre più alterati e alla fine dobbiate smettere con un grosso senso di impotenza e sconfitta.
Stephen Wolinsky, in uno dei suoi vari libri, racconta “Una volta ebbi un attacco di panico. Rimasi così affascinato dall’enormità dell’energia che desiderai averne un altro. Ma non ne ebbi più”. Carissimo Stephen, tu non soffri di attacchi di panico. Se uno dice “Mi è moto il canarino e sono rimasto triste tutta una giornata”, diresti che ha conosciuto la depressione cronica? Sei uno psicologo, perché invece non ci racconti come hai aiutato chi soffriva di attacchi di panico, ammesso che tu abbia questa esperienza.
Però la ‘boutade’ di Wolinsky ci permette di vedere qualcosa. Finora abbiamo rimarcato la differenza, dovuta alla potenza della carica, dell’attacco di panico da qualsiasi altra paura inconscia; ora, per capire come disinnescare la dinamica, vale la pena vederne la similarità. Come qualsiasi altra impressione (o agglomerato di impressioni), l’attacco di panico esiste sono in virtù della resistenza, o forzatura, che opponiamo a quell’impressione.
E qual è la via per eccellenza che disinnesca Resistenza e Forzatura, che costituiscono la radice stessa dell’ego? L’Abbandono a Dio.
Occorre naturalmente un aspirante maturo, che sappia perseverare, perché non vi sono risultati immediati. Ma la via è quella e non potete fallire. Dunque qualsiasi vostro sforzo in questo senso è già in sé un successo. Man mano che approfondite l’Abbandono a Dio vedrete quantità enorme di dolore sparire dalla vostra vita. Bhakti, l’Abbandono a Dio, può disinnescare la dinamica dell’attacco di panico – e il senso di persecuzione, e l’inferno ecc. – senza bisogno che lo confrontiate direttamente, solo con l’amore.
Sui libri spirituali ho letto di una sola testimonianza attendibile circa gli attacchi di panico. Si trattava di un monaco tibetano che praticava lo Dzogchen. Diceva di aver sofferto di attacchi di panico e che dopo un tempo di pratica non breve se n’era liberato.
Ancora una volta permettetemi di ribadire che l’Abbandono a Dio e il Dimorare nel Sé abbinati insieme sono il metodo più veloce e funzionale per la liberazione. L’una via senza l’altra non funzionano.