Dai Satsangha di Francis Lucille
Partecipante: — Sento che sei la causa del silenzio che sento in questo momento.
Lucille: — La mia presenza è la tua presenza. Lascia andare l’idea che la tua presenza non è la mia stessa presenza: è la nostra presenza. Non c’è differenza perché quando veniamo qui, tutti noi come individui, ognuno di noi è parte della celebrazione. Sembra che tutto venga detto attraverso la mia bocca, ma in realtà noi siamo un solo grande corpo, e in qualche modo questa bocca adesso ne è la portavoce. Noi siamo questo corpo unico ed è importante che le orecchie non si sentano separate dalla bocca. Siamo un grande universo che parla e ascolta se stesso.
La distinzione tra allievo e maestro è un ostacolo, non indulgervi. È assai più semplice se, in accordo con la nostra comprensione che esiste una sola coscienza, vediamo questi incontri semplicemente come l’opportunità di sperimentare e celebrare questa Unità, piuttosto che sentire che stiamo per ottenere qualcosa da un altro. Noi celebriamo in silenzio attraverso le nostre relazioni, attraverso le nostre conversazioni, attraverso le nostre attività, e così via. Siamo tutti già assolutamente idonei alla felicità.
Partecipante: — Puoi dirci qualcosa sulla relazione col maestro?
Lucille: — Quando un ricercatore della verità si avvicina a un maestro è quasi inevitabile che all’inizio identifichi il maestro come persona. Ma il maestro è come un vuoto, uno spazio vuoto e silenzioso. Non c’è nessuna persona dietro la sua forma, perciò la proiezione del ricercatore della verità non viene nutrita. È come cercare di catturare un pesce scivoloso, ne veniamo fuori a mani vuote.
La mancanza di nutrimento all’entità personale fa sì che l’allievo cominci a sentir nascere nella relazione col maestro la presenza di un amorevole contatto impersonale. Questa è l’esperienza della vera natura che tutti condividiamo. Spesso sperimentiamo questo contatto prima con il maestro, poi diventa il modello per tutte le altre relazioni.
La risposta che viene dal maestro non è diretta verso la persona, è diretta verso la coscienza, la vera natura del ricercatore della verità. È un movimento dalla coscienza alla coscienza, è un movimento all’interno della coscienza. Il ricercatore della verità in genere non ne è consapevole, sente che il maestro lo considera una persona; ma anche se la risposta è recepita sul piano personale, verrà piantato un seme nel fondo della mente del ricercatore della verità. A tempo debito tale seme germoglierà dando inizio a un processo di ragionamento superiore. Questo a sua volta porterà l’allievo alla comprensione che il maestro non è una persona. Da questo punto in avanti, è proprio da questo contatto impersonale tra maestro e allievo che nascono sia gli strumenti che nell’esperienza dell’insegnamento.
Partecipante: — La parola impersonale evoca in me qualcosa di lontano e nient’affatto intimo.
Lucille: — Per ‘impersonale’ intendo non basato sul pensiero e la sensazione di essere una persona separata. È questo pensiero e sensazione che impediscono il vero amore e la vera intimità. Ogni qualvolta amiamo, scompariamo come persone.
Quando diciamo che il maestro è impersonale e che non c’è nessuna persona dietro la sua forma, non stiamo suggerendo che il maestro sia senza carattere o che non sia animato, nient’affatto. Vogliamo semplicemente dire che i pensieri, i sentimenti e le attività di tale maestro non generati dal sentire di essere un’entità separata.