Lucifero significa “portatore di luce” (dal latino Lucifer). È l’essere più vicino a Dio ma si ribella a Dio perché vuol essere come Lui. Sia nella mitologia latina, che greca, che egizia è identificato con la “stella del mattino”, che è Venere, un pianeta che non brilla di luce propria.
Il mito di Lucifero rappresenta l’apparire dell’ego. L’ego nasce dal Divino, prende la luce dal Divino, ma si autoconvince di essere lui ad irradiare luce. L’ego si forma quando si apprende il linguaggio, cioè quando l coscienza indivisa si frammenta nei concetti e diventa mente. Col formarsi dell’ego appare la dualità.
Da qui possiamo capire che la luce di Lucifero è la “téchne”, ossia la conoscenza relativa e discriminativa, e da essa la capacità di saper fare. Lucifero compie il progressivo impadronirsi delle cose, l’impossessarsi della natura relativa (prakriti), e così egli crede di essere l’agente, l’artefice.
Dopo così tanto battagliare – di cui conosciamo bene gli amari effetti collaterali – nel corso delle vite l’anima individuale matura il profondo desiderio di far ritorno alla quiete. E come la possiamo chiamare la quiete suprema se non “Nulla”… Se è quiete suprema non c’è nulla… o volete aggiungere qualcosa?
Ma allora perché così tanto parlare di amore?
Due ragioni:
1. La creazione è il desiderio di Dio di amarSi (non approfondisco perché dovrei dilungarmi troppo, e l’ho già fatto in passato). Se questo desiderio non viene soddisfatto in una certa misura, non cessa d’essere.
2. Il Nulla è il risultato del completo abbandono: e il completo abbandono è UN ATTO D’AMORE. Il Nulla può comparire anche agli aspiranti che non hanno ancora aperto il loro cuore, ma a loro apparirà non certo come l’eterno e agognato riposo in cui fondersi e morire (come Lucifero) ma, in una visone nichilista, come un oggetto orrendo.