La questione è che quando l’aspirante inizia una sadhana, la fa sentendosi il titolare anche della pratica spirituale. Allora tu gli dici “poniti come testimone neutrale” e lui lo fa, ma col punto di vista di stare facendo qualcosa per se stesso, e ciò riduce il potere di qualsiasi pratica al 30%. Comunque va avanti… e quando è maturo ad abbandonare la mente – che è sovraordinata al corpo e quindi lo include – allora egli diventa uno strumento nella mai di Dio. Con tale stato d’animo è assai più facile rinunciare ad aspetti personali, si depongono i pesi lasciando che sia Dio a condurci, e qualsiasi pratica vola al 100%, non più appesantita e intralciata dall’assumersi la titolarità di tutti i limiti del corpo-mente, della persona.
Il nodo dell’identificazione con mente si recide con LA PROFONDA COMPRENSIONE CHE LA MENTE NON ESISTE. Tale taglio è risolutivo, perché la mente è la fonte stessa di tutta Maya, l’illusione, la causa di ‘me e tu’ (la dualità), del mondo fenomenico che è creato dall’ego.
La vera rinuncia, la sola, è rinunciare alla mente. Come più volte ha detto Bhagavan: “Vi ritirate nella foresta, ma vi portate la mente dietro. È la mente che dovete abbandonare”.