Essere il Vero Io (il Sé) significa che l’intera esperienza, sensibile e trascendente, è inclusa nell’interezza dell’Io. I vari movimenti all’interno dell’esperienza tendono a perdere di connotazione e a diventare neutri, né il Vero Io si identifica con l’agente che li ha generate. Essi confluiscono così nella ‘Ioità’, o unità dell’Io Sono, che è l’unica che rimane fermamente connotata, definita e significativa.
Se ad esempio compare un moto di rabbia verso qualcuno, e voi ve ne assumete la paternità, lo giudicate e lo rifiutate, uscirete subito dal Vero Io e decadrete nella dualità. Ma se considerate che quel movimento appartiene a Shakti (l’energia universale) e voi non ne siete l’autore, la comparsa del movimento di rabbia non disturberà in alcun modo il vostro essere il Vero Io. Se considerate che anche il ritenersi l’autore dei movimenti dell’esperienze e il decadere nella dualità sia un movimento di cui non siete l’autore, anche questo movimento rientrerà nell’unità del Vero Io, senza che voi decadiate nella dualità.
Ho presentato queste dinamiche perché vi rendiate conto che il sentire di non essere realizzati è un punto di vista, non qualcosa di oggettivo. Ecco perché i maestri dicono che chiunque potrebbe realizzarsi in qualsiasi momento. Il fatto che la realizzazione richieda del tempo è un dato statistico, non qualcosa che ha realmente a che fare con la natura della realizzazione. Ciò che ha a che fare con la natura della realizzazione è che siamo il Vero Io, anche se la mente l’offusca; e questo essere il Vero Io al di sotto dell’offuscamento è ciò che chiamiamo Grazia.
Non assumersi la paternità dei movimenti all’interno dell’esperienza è rinuncia a vivere come un individuo separato ed è conseguentemente abbandono al Sé.