Alcuni credono sia cosa diversa dal portare l’attenzione al soggetto percipiente, ma il loro giudizio è assai superficiale.
‘Inviare Amore al Divino’ significa volgersi l’aspetto immanente del Soggetto Ultimo: ‘Io Sono Ogni Cosa’. In questo modo la pratica conduce l’aspirante a una totale integrazione le varie parti del ‘sogno divino’ e allo stato unitivo. Una volta raggiunto un discreto livello di integrazione e di pacificazione, compare spontaneo l’aspetto trascendete: ‘Io Sono Oltre Ogni Cosa’. È allora che l’aspirante comprende che l’aver inviato amore al Divino lo ha portato proprio dove l’avrebbe portato la ‘Consapevolezza consapevole della Consapevolezze’, il dimorare nella Presenza, nell’Io Sono, nell’Essere e altri nomi per indicare il Sé… Solo che ci è arrivato con un valore aggiunto: l’AMORE! Ora egli è pacificato con tutto, è naturalmente etico e abbandonato al Divino; e ‘Abbandono completo al Divino’ è un altro modo per dire Realizzazione. Ora egli è sat-chit-prema-ananda (essere, consapevolezza, amore e beatitudine). A conferma che l’aspetto immanente non è separato dall’aspetto trascendente (cosa che la mente duale non riesce a comprendere) vorrei ricordare che quando chiedevano a Sri Ramana: “Che cos’è Maya?”, egli rispondeva con la sua indicibile essenzialità: “È il Sé!”.
Se invece l’aspirante si rivolge da subito all’aspetto trascendente – senza quindi aver prima aperto il canale dell’Amore e aver raggiunto un buon grado di integrazione con l’aspetto manifesto del Sé –, rischia di giungere a un Uno-Nulla algido e privo d’Amore. Un mio allievo che prediligeva Nisargadatta e che spesso, pieno di desiderio per l’Assoluto e la Liberazione, mi diceva: “Non voglio avere la coscienza”… si è trovato in tale penosa condizione, da cui non è riuscito a uscire per un paio d’anni. Infine l’ayahuasca l’ha aperto all’Amore e ha sanato la sua situazione; la Grazia per lui si è manifestata in questo modo.
Rivolgersi da subito all’aspetto trascendente comporta un altro rischio. L’aspirante può raggiungere degli stati meditativi elevati, il suo ego se ne impossessa e gli fa credere di essere più o meno arrivato. Con questa supponenza l’aspirante non si accorge di avere ancora un bel po’ di impurità da smaltire, abbassa la guardia dell’etica, e le impurità gli fanno commettere azioni distruttive e invereconde che non hanno niente a che vedere col Divino.
Per questi motivi, quando posso, suggerisco da subito la pratica di ‘Inviare Amore al Divino’. Ma a volte gli allievi non vogliono farla, o non sopportano le crisi di purificazione che questa pratica fa emergere. Allora accettato la meditazione che preferiscono. Sri Ramana accettava sempre la meditazione che praticavano i visitatori; indicava l’autoindagine solo a chi chiedeva quale fosse la pratica migliore.