— Caro Sergio, tra le cose che mi hai detto l’altro giorno, c’è stata la frase “un vero Guru ti segue per vite” che mi è rimasta nella testa. Oggi mentre meditavo sono entrata in questa sensazione perché non avevo nessuna comprensione mentale. Si è aperto prima un dimorare profondo, con una qualità di chiarezza e libertà, come acqua fresca. Poi è stato come comprendere che avevo sempre guardato al Guru in modo sbagliato. Ovvero il Guru come maestro fisico, in carne ed ossa, nelle forme e nei modi che ho letto, visto e che mi sono stati detti. In realtà ho realizzato che ogni cosa è il Guru, che mi segue, mi ama e mi indica la strada; lui è in me, non mi ha lasciato mai. Siamo la stessa cosa.
L’ ho sempre saputo.
Vorrei avere più parole per celebrare, ma torno al mio lavoro, tenendo tutto questo in me, anche se forse potrei scoppiare.
Ti abbraccio forte e grazie.
— Bravissima bravissima! C’è tanta retorica sul Guru, è questa deriva anche dal fatto che la struttura sociale indiana è estremamente gerarchica.
Il Guru È il Sé, o se vuoi dirlo in maniera bhakta, è DIO. Questo Guru interiore si manifesta all’esterno in tanti modi: un libro o una particolare esperienza che ti capita apparentemente per caso, G. o me che ti diciamo qualcosa di cui hai bisogno. È sempre il Guru!
Atmananda incontrò il suo Guru sul piano fisico per una sola note. In quella notte il Guru lo iniziò a tre tipi di vie diverse. Atmananda voleva solo la via di jnana, ma il Guru volle che prima praticasse bhakti; completata bhakti doveva praticare tre tipi di yoga diversi, tra cui uno yoga kundalini, e infine la via di jnana. Il suo Guru, che si chiamava Yogananda (omonimo del noto maestro di kriya yoga), sapeva che Atmananda sarebbe diventato egli stesso un Guru, e voleva che conoscesse le esperienze spirituali che potevano avere gli aspiranti che si rivolgevano a lui, in accordo con i loro temperamenti. Atmananda, che era un semidio, raggiunse la parabhakti in 6 mesi, completando quel percorso; impiegò 9 mesi per completare i tre percorsi yogici, e infine completò la via di jnana. In tutto quel tempo rimase in contatto col suo Guru solo sul piano sottile. Raggiunta la realizzazione voleva ritirarsi a vivere col Guru, ma questi, sempre sul piano sottile, gli disse di non farlo perché stava per lasciare il corpo, avendo completato i suoi doveri terreni dopo la realizzazione di Atmananda. Gli indicò anche di non diventare un sannyasin, ma di rimanere capofamiglia e continuare a lavorare. Malgrado la sua grande devozione, Atmananda, che fu sempre scevro da tutte le formalità di culto indiane, nei suoi insegnamenti non parla mai del suo Guru. Di quale Guru parlare quando il Guru e il discepolo sono diventati l’Uno?
Qualcosa di simile capitò a Swami Kripalvananda. Incontrò il Signore Lakulisha e rimase con lui per un anno. Poi Lakulisha sparì, e lo rincontrò per breve tempo dopo 20 anni. Lo riconobbe dalla voce, perché Lakulisha gli mostrò allora il suo corpo divino.
Io sento il mio Maestro come se fosse presente in carne ed ossa. A volte chiedo qualcosa, e dopo un giorno mi arriva l’esatta risposta di cui ho bisogno, magari leggendo qualcosa sul web…
Questa retorica Guru-discepolo serve anche a disciplinare gli aspiranti più immaturi e selvaggi, ma io come insegnante mi sono ispirato a Sri Ramana Maharshi. A lui veniva gente per un’ora, alcuni diventavano visitatori abituali, altri si trasferivano nel suo ashram. Egli non ha mai legato nessuno con affiliazioni o iniziazioni formali. Era una Fonte! Dava a tutti lasciando libero ognuno. Il suo Guru era la sacra collina di Arunachala. Nei sui insegnamento non parlava del suo Guru, sempre del Sé. Però, quando gli chiedevano “Lei non ha un Guru?”, rispondeva pronto “Chi l’ha detto? Non ho forse scritto un inno ad Arunachala?”.
Naturalmente non bisogna passare all’opposto e negare i casi di chi vive col proprio Guru. I modi del Guru di manifestarsi a noi sono veramente infiniti.
Anche Yogeshwar, l’inventore dell’Intensivo di Illuminazione, mi ha ispirato in questo approccio semplice, naturale e vero. Aveva una piccola comunità in Australia, ognuno con la sua casetta indipendente, in armonia con la pratica dello yoga naturale. Una volta una aspirante gli scrisse: “Vorrei far parte della vostra famiglia spirituale”, e Yogeshwar rispose “Fai parte della nostra famiglia spirituale fin quando te ne senti parte”. Lo trovo splendido, diafano come la Verità. L’unica cosa che può mantenere un collegamento è l’affinità; se è diversa dall’affinità, allora è manipolazione e gioco di interessi.
Guarda come si comporta Dio con noi per capire la relazione tra Guru e discepolo. Dio c’è sempre ed è noi stessi, ma è molto discreto, in genere appare solo quando lo chiamiamo.
Perciò, che ogni giustizia sia compiuta a ogni livello, diamo a Cesare quel che è di Cesare, ma non è necessario aggiungere illusione alla Maya…