— Ci sono idee discordanti dei vari Guru su alcuni punti. Ma molti in passato concordavano sul fatto che prima di iniziare a leggere cose dovevi realizzarti o comunque leggere molto poco. Fermo restando che molti leggono un libro con le parole di Ramana e Nisargadatta e lo leggono in uno /due giorni quando ci vorrebbe per lo meno un anno. Mi sono sempre chiesto: la realizzazione o come la si vuole chiamare non può essere sempre un’illusione creata dalla mente. Infondo si cerca di spiegare qualcosa che non ha parole per essere definito.
— Il principio guida per la realizzazione spirituale è chiaro: quello che è impermanente non sei tu, quello che è Permanente sei tu.
Quando l’aspirante, con vari metodi, scopre il Permanente, cerca di stabilirsi in esso. Quando la sua identità diventa il Permanente e può andare attraverso tutti gli stati – compresi veglia, sogno e sonno profondo – senza più mutare, allora la realizzazione spirituale può dirsi completa.
È vero che ogni maestro ha il proprio vocabolario, ed è altresì vero che sedicenti maestri dicono cose diverse – in genere perché pur avendo conosciuto il Permanente non hanno completato la realizzazione spirituale, e perciò la loro visione è parziale. Perciò bisogna riferirsi alle Grandi Scritture. Per l’Advaita Vedanta sicuramente Adi Shankara, il Sutra del Cuore della Perfetta Saggezza del Buddha, lo Jnaneshwari e altre.
Per quanto riguarda l’opportunità di leggere o non leggere prima della pratica spirituale, vi sono approcci diversi perché gli aspiranti hanno caratteristiche diverse. Io, ad esempio, non riuscivo a praticare niente di una scuola spirituale senza aver prima studiato il ‘darshana’ (il paradigma filosofico) che la originava. Si dice che nell’antichità i maestri zen dicessero agli allievi “Siedi contro un muro e conta i respiri. Questo è tutto”. Sarà stato proprio così? Personalmente ne dubito. Comunque gli allievi dovevano studiare i principi del dharma indicato dal Buddha. E oggigiorno potrebbe essere così? Io non credo che qualcuno possa essere introdotto all’autoindagine senza un minimo di studio sul sistema filosofico che sottende l’Advaita Vedanta; non capirebbe nemmeno cosa sta facendo e la sua pratica sarebbe piena di dubbi.
— Ti ringrazio. Adesso mi è tutto più chiaro. Sei stato molto gentile per la risposta.
— La ricerca spirituale seria ha un suo metodo scientifico. L’aspirante dice: “Credo in ciò che dicono le scritture e il guru, ma potrò esserne certo sono quando io stesso avrò sperimentato quelle verità”.
Ma come faccio a sapere che non ho preso lucciole per lanterna? Le mia esperienza deve trovare conferma in quel che dicono il mio insegnante e le scritture.
Però non posso portarti in un laboratorio e mostrarti i vari test sperimentali come si potrebbe fare per dimostrare un principio della fisica, perché quegli esperimenti possono avvenire solo dentro di noi.
Tuttavia, malgrado la disgrazia dei differenti vocabolari e, a un livello più basso, dei differenti punti di vista tra sedicenti Maestri, quando ci si rivolge a fonti elevate si possono monitorare le proprie esperienze e il proprio progresso spirituale.
Patanjali, ad esempio, parla di sabija e nirbija samadhi; noi li chiamiamo savikalpa e nirvikalpa, ma sono la stessa cosa. Il nirvana è lo stato oltre i concetti, noi lo chiamiamo nirvikalpa, e quando diventa stabile lo chiamiamo sahaja nirvikalpa samadhi… e così via. Un caro abbraccio.