L’unica via che vi consente subito di ottenere esperienze dirette è Jnana marga. Con le altre vie potete praticare una vita senza sapere chi siete, e dunque senza sapere cos’è Dio. Con Bhakti potete sviluppare la devozione verso il Divino ma rimanere tutta una vita all’interno di un amore duale, come capita a molti religiosi.
Dovete però comprendere che Jnana marga comporta degli effetti collaterali. In questa via l’attenzione viene rivolta direttamente all’io percipiente, e l’aspirante ha molte esperienze dirette la cui realizzazione è “Io sono Dio”. L’io si espande e diventa sempre più grande, fino a dissolversi nel Paramatman; ma prima che ciò avvenga, l’ego (il ladro per antonomasia) può appropriarsi di tali realizzazioni e diventare molto potente, con grande rischio e sofferenze per quegli aspiranti. Ciò induce non pochi maestri (tra cui Madre Meera) a mettere in guardia sui rischi di Jnana marga.
Vivekananda, allievo di Ramakrishna, aveva una pratica orientata a Jnana. Il suo mantra era Shivoham (Io sono Shiva). Divenne molto potente, e un giorno inserì dei pensieri nella mente di un residente dell’ashram che collezionava ciottoli. Improvvisamente questi cominciò a gettare quei ciottoli nel fiume. Ramakrishna comprese e lo fermo, chiedendogli perché lo stesse facendo. “Non lo so.” rispose quello, “Ho sentito un pensiero dentro di me che diceva che dovevo buttarli via”. Ramakrishna allora redarguì molto aspramente Vivekananda, dicendogli che era un tipo pericoloso, e per punizione sentenziò che non avrebbe mai più sperimentato il samadhi in quella vita. Evidentemente il maestro vide che le tendenze al potere di Vivekananda potevano condurlo lontano dalla realizzazione e causargli grande sofferenza. Quando Ramakrishna fu in procinto di morire, Vivekananda lo implorò di revocare la sentenza, ma Ramakrishna tenne duro e concesse soltanto: “Sperimenterai di nuovo il samadhi un mese prima della morte del tuo corpo”. Così, quando Vivekananda entro nuovamente in samadhi, seppe che gli rimaneva solo un mese di vita in quel corpo.
Il sentiero di Bhakti invece diminuisce l’ego, e questo si traduce in leggerezza, poco o niente dolore e speditezza sulla via spirituale. Molte crisi e tanto dolore, dovuti alle asperità dell’ego, sono evitati dal sentiero di Bhakti.
È per questo che io sollecito con forza
gli aspiranti
affinché affianchino alla pratica di Jnana marga
una pratica sistematica di Bhakti marga.
La Bhakti migliore è la Shanti Bhakti (la Bhakti della Pace). Nella Shanti Bhakti l’aspirante dice “Tutto quel che mi succede è per volontà di Dio. Egli sa quello di cui ho bisogno” e accetta quel che gli capita di buon grado. E poiché ogni cosa ha un suo opposto (qualcosa di apparentemente negativo più recare un miglioramento e viceversa), egli affronta le vicissitudini della vita con fiducia e senza resistenze. Diventa umile: non ritiene che gli si debba qualcosa e ringrazia per quello che ha; e se qualcosa gli vien tolto, quello è il volere dettato dall’amore di Dio. Potete immaginare quanto dolore venga risparmiato da un tale virtuosissimo approccio.
Quando Shanti Bhakti si è ben stabilizzata,
l’aspirante non ha nemmeno bisogno di sforzarsi
per non reagire alle sensazioni negative:
egli nemmeno le rileva!
Il dono più grande di Shanti Bhakti
è forse quello di consentire all’aspirante
di superare tutte le paure insite in ogni essere senziente,
compresa la paura della morte.
Un esempio di Shanti Bhakti è quello di Bhima. Bhima è l’eroe dello schieramento dei Kurava, opposta a quello dei Pandava con i quali combattevano Krishna e Arjuna. Era praticamente inespugnabile e aveva ucciso molti eroi Pandava. Allora Krishna decide di ucciderlo egli stesso. Ma Bhima era anche un devoto di Krishna, e quando lo vede arrivare dice “Questo Krishna che viene verso di me per uccidermi è l’unico che mi può salvare”. Non si difende e viene trafitto da innumerevoli frecce. Poiché è un quasi dio, non muore subito e perde molto sangue. Ma quel sangue versato – commenta Sathya Sai Baba – elimina da suo corpo tutte le impurità del ‘cibo’ di cui si nutrivano i Kurava. Bhima allora rinsavisce e si ravvede, e prima di abbandonare il corpo dona agli esseri bellissimi e struggenti discorsi spirituali come testamento.
Krishna dunque uccide la forma di Bhima (la sua prigione) e gli dona la Liberazione. Bhima è ognuno di voi, potente come un dio, ma con la linfa infetta da impurità che lo rendono adharmico (gli impediscono di riconoscere la propria stessa divinità).
Lasciate che Dio vi uccida: questo è lo spirito della Shanti Bhakti!