Su ‘Dialoghi con Sri Ramana Maharshi’, subito dopo il discorso 57, alla data ‘24 giugno 1935’, trovate ‘Sri Ramana Gita’. In quelle due pagine e mezza Sri Ramana chiarisce un dubbio circa la differenza tra un jnani e un siddha. Nella parte finale, che vi riporto in basso, chiarisce il metodo per stabilizzare l’illuminazione:
“Il Sé è nitya aparoksha, cioè eternamente realizzato, in maniera cosciente o incosciente. […] Alcuni concludono dicendo che aparoksha [l’esperienza diretta] non è stabile. L’insorgere delle vasana è la causa della sua debolezza; dopo la rimozione delle vasana, il jnana diventa stabile e reca il frutto.
[…] Ciò che ostruisce la continuità dell’esperienza diretta sono le vasana […]. Esse devono essere controllate. La vigilanza consiste nel ricordare deho naham (io non sono il corpo) [o anche io non sono la persona] […] è chiamata nididhyasana (contemplazione continua su un solo oggetto) estirpa le vasana. Allora sorge lo stato sahaja, che sicuramente è jnana.
[…] le vasana sopraffanno periodicamente il jnana, per questo l’esperienza diretta è debole e diventa stabile solo quando le vasana sono state sradicate attraverso il nididhyasana”.
Nididhyasana è contemplazione profonda e ripetuta sulle gradi sentenze delle Upanishad: io sono il Sé, io non sono il corpo, io non sono la persona, il mondo è un’illusione; potete lavorare su quella più funzionale a voi.
Il metodo che ho dato in ‘la stabilizzazione – 1’ è tratto dal Trek-Chod, la fase di stabilizzazione dell’illuminazione nello Dzogchen, e viene un po’ dopo quello indicato da Sri Ramana, quando già l’illuminazione comincia a stabilizzarsi. Potete giocare sui due metodi a seconda delle vostre esigenze. In ogni caso è fondamentale la perseveranza, la fede che riuscirete e la Grazia non potrà mancare, e l’amore per il Guru e Dio.