Alberto — Stamattina sono emerse varie scene di sogno in cui mi trovavo a fare autoindagine. Nella prima dovevo partire con una 500 fiat anni settanta, rossa, appena restaurata, e mi chiedevo: “Chi sta facendo qualcosa?”, “Chi sta salendo in macchina?”, “Chi sta guidando?”, “Chi si deve spostare?”… però non partivo. Poi c’era un camper con una serie di piccoli buchetti sulle pareti e io avvitavo delle viti in questi piccoli buchi e mi chiedevo: “Chi sta avvitando le viti?”, “Chi sta tappando i buchi?”. Poi stavo andando a letto e chiedevo: “Chi sta alzando le coperte”. Poi C’era da andare nell’orto e chiedevo: “Chi sta andando nell’orto?”, ma sembrava che non ci fosse nessuno che stesse andando. E così via altre scene di questo tipo. Oggi sento che ho voglia di praticare il “Chi sono io” e restare in contemplazione di ciò che appare.
S. — L’indagine “Chi sono io?” ha travalicato lo stato di veglia e si è riversata nel sogno. Così dev’essere: totalizzante! Quando il Sé non si è ancora insediato, al suo posto devi mettere la domanda “Chi sono io?”. Questa la trasmissione di Papà Ramana.
Riguardo al sogno, l’auto è il mezzo, è l’io. L’hai ristrutturata per il viaggio del “Chi sono io?”. Tuttavia non parti, perché non c’è da andare in nessun luogo, non c’è nessun viaggio. Lo stesso vale per l’orto: sembra che nessuno ci vada perché c’è solo lo stare nel “Chi sono io?” che maturerà nel “Io Sono Quello”.
“Io Sono Quello” è il samadhi di base, implicito, immutabile, ininterrotto che Sri Ramana chiama sahaja samadhi. Alcuni pensano che Bhagavan si riferisse a stati specifici di assorbimento, ma quelli vanno e vengono. “Io Sono Quello” non va e non viene: è la sola unica sempiterna Realtà.