Dell’esperienza avuta col mio ultimo sangha – che in pratica si è sciolto a ottobre dell’anno scorso – e da quella fatta in altri gruppi spirituali, ho visto che la gran maggioranza degli aspiranti spirituali è affetta da una gran povertà di vedute rispetto agli uomini, la vita e il mondo.
Essi cominciano a praticare per paura, per sfuggire il dolore della vita, è questo rientra nell’ambito della psicologia. Praticando, ottengono esperienze spirituali interessanti, ciò nondimeno restano nell’ambito della psicologia, cioè nel loro orto, che è ancora un ambito egoistico.
Bhagavan Sri Ramana diceva che dopo la psicologia viene la filosofia, e per filosofia intendeva una grande visione del mondo, di come funziona, di come si dovrebbe operare, e di come gli esseri umani arrivano a realizzare il Divino. Questa visione, che pochi aspiranti realizzano, segna il passaggio dell’attenzione dall’egocentrismo-egoismo all’altruismo, da cosa posso fare per me a come poso servire Dio. I paradigmi filosofici dell’induismo sono sei e sono chiamati Darshana, che vuol appunto dire ‘visione’.
Come ho già detto in altri post, io notai che aspiranti che pure avevano esperienza spirituali significative e conoscevano lo stato unitivo (anche se non vi dimoravano stabilmente), erano ancora incredibilmente capaci di comportamenti distruttivi e inverecondi.
Compresi allora che non bastava insegnare la sola via per realizzare il Divino, era necessario anche insegnare come purificare e modellare la propria forma affinché quel Divino realizzato potesse manifestarsi nella vita del mondo. Si trattava di insegnare il Dharma, l’etica, ma ero contrarissimo a un insegnamento nozionistico, avendo vissuto per un certo tempo in una comunità spirituale dove l’insegnamento nozionistico del Sanatana Dharma era messo al primo posto, col risultato che tutti si fingevano esteriormente etici, ma dietro questa facciata impazzava l’egoismo e la competitività più che nella società esterna.
Dopo un paio di mesi di intensa riflessione, affiancai all’autoindagine la pratica dell’amare, che ha fatto la sua apparizione su questo Blog all’inizio di quest’anno.
Mi dissi inoltre che quella ‘rozzezza’ (volendo apostrofarla in modo benevolo) di comportamento e relazione riguardava anzitutto me che ero stato l’insegnante e cominciai a studiare Gandhi.
L’insegnamento del Dharma non si ritrova nei testi di Sri Ramana Maharshi, perché nei colloqui con i visitatori egli parlava solo del Sé e di come realizzarlo. Ma ai residenti dell’Ramanashram insegnava a 360°, come emerge dalle biografie dei devoti. Innanzitutto col suo esempio – era il primo a seguire scrupolosamente le regole dell’ashram e non tollerava di ricevere favoritismi – e poi con indicazioni dirette. Insegnava persino come cucinare, come essere responsabili nel lavoro… tutto.
Mentre la via per realizzare l’Assoluto è stabile perché riguarda la perfezione finita che si conclude con l’identificazione del jiva (l’anima individuale separata) col Paramatma (l’Assoluto), la via per la perfezione della forma è in piena evoluzione, riguarda infatti la perfezione infinita1.
Siano benedetti i Maestri Perfetti e gli Avatara
che hanno tenuto per noi
illuminata la Via.
Siano Benedetti!!!
NOTE
1. Sui due tipi di perfezione vedi qui.