Chiudi gli occhi.
Sospendi i pensieri.
Entra nella tua natura di silenzio.
Tu esisti.
Osserva se questo esistere percepisce esistere altro.
Chiama questo altro: molteplicità dell’essere o jagat o mondo.
Esamina adesso la percezione stessa che mostra l’esistenza di altro da te.
Osserva che ti credi esistente proprio per essa, per la percezione-movimento-maya.
Chiama questo crederti esistente: avidya (ignoranza), individuazione dell’essere o jiva.
Lascia adesso affondare questa osservazione nel tuo esistere.
Dimentica di esistere perché percepisci altro.
Affonda e annega nel tuo essere.
Lascia la percezione dov’è: in superficie, in apparenza.
Sposta l’attenzione sull’essenza che sei, e che non hai osservato perché distratto dall’essere qualcosa.
“Senti” di esistere, perché sei, non perché senti altro da te.
Questa è la coscienza di essere o “Io sono” (in senso di affermazione di esistenza) o atman o Isvara (se lo trattieni e mantieni).
Sei cosciente di essere.
Questa è ancora dualità.
Lascia adesso questa coscienza di essere.
Non v’è necessità di tenerla.
Se sei, non ti serve esserne cosciente.
Ecco che “sei”.
Sei.
Non c’è altro.
È lo stesso “io sono” che smette di affermare la propria esistenza perché ne perde coscienza, non vi è alcuna necessità di affermarla.
Non c’è differenza fra il Reale, l’Essere e l’essere individuato.