— Mi capitano sbalzi intensi di umore, ma sono deciso a lottare e a non lasciarmi sopraffare.
— Benissimo! Vorrei dirti una cosa. Tu hai già avuto delle esperienze dirette, ma un aspirante alla liberazione deve comprendere che quando non vi sono risultati, e ciò malgrado si pratica, anche in quel caso si sta progredendo.
Ti faccio un esempio. Tu ti trovi un muro davanti e cominci a eroderlo con un cucchiaio, come a volte si vede nelle evasioni a cinematografo. Il muro rimane lì per parecchio tempo senza che si vedano risultati, eppure il muro si sta erodendo. Sul piano fisico puoi ancora vedere l’erosione che è stata procurata, ma sul piano psicologico non la vedi, vedi solo che non cambia niente. INVECE CAMBIA! E quando la barriera è stata erosa abbastanza, tutt’a un tratto collassa!
Abbiamo il caso estremo di Michael Langford che per 23 anni continuò a praticare l’autoindagine senza capire cosa fosse l’Io Sono. Poi un giorno, all’apice della disperazione, ebbe un’esperienza diretta – la prima – in cui capì di essere pura coscienza, e dopo altri due anni ottenne la liberazione senza ritorno: Manonasa, la dissoluzione definitiva e irreversibile dell’ego.
Io ho compreso questo, e invito caldamente te a fare tua questa comprensione: NON C’È NESSUNA BARRIERA CHE POSSA RESISTERE ALLA SADHANA! Solo, se ti ritiri prima, la barriera resta lì!
Persino se non ce la fai a raggiungere la liberazione in questa vita, gli sforzi che hai compiuto te li ritrovi nella rinascita successiva, in termini di minori barriere, maggiore capacità di padroneggiare la sadhana e buon karma verso lo sviluppo spirituale per gli sforzi virtuosi compiuto in passato.
Io ho avuto un allievo autistico, un leggero asperger. Leggero da far sì che le persone lo individuassero solo come un tipo strano, ma quel leggero gli ha distrutto la vita. Si rivolse a me che aveva già provato molti metodi, corsi, ritiri e insegnanti senza avere nessun risultato. Il dolore lo fece impegnare nella sadhana chi gli proponevo, e dopo circa un anno cominciò ad avere le prime esperienze dirette nei Ritiri di Autoindagine diadici. Lui però non sapeva di essere autistico. Io non glielo dissi perché era prematuro e vi era il rischio che si abbandonasse nello scoraggiamento; volevo che prima si centrasse di più nella Presenza. Lo curavo molto e non di rado gli facevo dei set di mind clearing per tenerlo il più possibile sollevato dal pantano della mente. Cominciò a migliorare e nacque in lui il comprensibile desiderio di uscire da quell’isolamento e recuperare quel vacuum di relazione che aveva vissuto fino ad allora. Così cominciò a programmare vacanze con parenti e amici, ma anche a diventare insofferente agli impegni della sadhana. Mi accorsi che non vedeva l’ora che le sedute (gratuite) di mind clearing finissero; mi chiese se un Ritiro programmato avesse raggiunto il numero di partecipanti sufficiente, ma io sentii bene che dentro di lui stava dicendo: “Speriamo che non si fa così ho il weekend libero”. Poi mi sfiduciò e se ne andò. Non era ancora giunto il suo momento. Perciò, non c’è nessuna barriera che possa resistere alla sadhana, ma se ti ritiri prima…
Quando hai i momenti di down dell’umore, ti propongo il seguente metodo: CERCA DI MANTENERE QUELLO STATO IL PIÙ A LUNGO POSSIBILE! Per esempio, se lo stato è come nel tuo messaggio del 23/1, sforzati di mantenere depressione, insonnia, i pensieri che si affollano, la vita spossante e priva di attrattiva il più a lungo possibile. Se si affievoliscono, fa qualche tentativo di ricrearli.
Ti spiego il significato di questo metodo:
L’apparenza è una non-verità (appare una sedia invece è soltanto il Sé). Il credere che sia vera la fa perdurare. Averne avversione significa credere che sia vera. In questo caso però l’aspirante può fare intenzionalmente ciò che non vorrebbe: “Ho paura dell’uomo nero”. “Perfetto. Cerca di avere paura dell’uomo nero”. Se lo fa si renderà conto che è un nonsenso e che quel disagio viene mantenuto in essere proprio dal non volerlo. Prova e fammi sapere.