A un certo punto l’aspirante si rende conto che il livello del sonno profondo a onde delta è la sua vera casa – ovviamente non parlo di sonno incosciente. Questa comprensione comporta un bel salto di qualità, perché per arrivarci il sadhaka deve essersi disidentificato un bel po’ dalle relazioni umane e dal mondo in quanto fenomeni. Allora, con una tale comprensione, attraverso la perseveranza, comincia ad arrivare a quel livello (onde delta), o vicino (onde theta).
Lì il corpo e il mondo non ci sono più, c’è solo la Pura Coscienza luminosa. Egli la riconosce come il suo vero corpo, la sua vera casa e sé stesso. La riconosce come Dio e allora c’è tanta beatitudine. Nessun attaccamento è più possibile lì. Questa è la fase in cui l’aspirante non smetterebbe mai di meditare.
In pratica lì sei già morto, in senso positivo. Corpo e mondo non ci sono più, c’è solo il Sé e tu ci stai benissimo. A quel punto il corpo è solo un fastidio. Penso benevolmente a quegli insegnanti che dicono che il corpo è un paradiso. Loro, in quel momento, hanno quel livello di comprensione, e va bene, ma scambiarli par saggi… Ci sarà qualche ragione se entrambi Ramana e Nisargadatta hanno detto che il corpo e una bella scocciatura.
Avendo questo quadro, possiamo capire meglio i primi anni della realizzazione di Sri Ramana. Egli era in una grotta di Arunachala – che ha sempre considerato la forma fisica di Shiva e il proprio Guru –, inconsapevole del corpo mangiato dagli insetti. Uno swami lo prese lo lavò e ogni volta che dava un cenno di riemergere appena un pochino gli dava da bere un bicchiere di latte. È andato avanti così per molto.
Quella è la ‘Vera’ morte, la morte dell’illusione e del dolore.
Una volta sperimentato questo livello, il sadhaka ha visto la fine della via, e anche se non è ancora stabile, non ha più paura della morte, perché ormai ha visto che quando il corpo muore, egli rimane in quanto Sé.