Fin quando preferiamo il Paradiso, siamo ancora completamente immersi nella mente, in Maya, nel balletto degli opposti. L’Ananda che promette la spiritualità deriva dall’essere eterni e immutabili, prima degli opposti.
L’essere prima degli opposti viene detto equanimità, che nel buddhismo si chiama nirvana. Un’interpretazione etimologica della parola nirvana la fa derivare da nirvi-prana, cioè senza oscillazioni, senza altalenare di opposti. Tale significato l’associa al celebre aforisma di Patanjali: “Yoga Chitta Vritti Nirodha”, “Lo stato naturale è la scomparsa delle modificazioni mentali”.
I maestri zen, nel rimarcare la suprema indifferenza del nirvana (la realizzazione del vero Sé) agli opposto della mente (e della vita che ne è la proiezione) dicevano ironicamente: “Se rinasco all’inferno faccio il diavolo, se rinasco in paradiso faccio l’angelo”.
So bene che tale suprema equanimità, che conduce finanche a non percepire il dolore fisico, è una realizzazione avanzata, ma conoscere la verità vi aiuterà ad orientarvi da subito correttamente e a non cadere in percorsi non realizzativi. Nel celeberrimo Capitolo 26 della Ribhu Gita, molto amato da Sri Ramana Maharshi, è detto: “Sii Quello che non ha difetti né virtù”.
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