Fino ai primi di agosto 2021 credevo che Manonasa coincidesse con la scomparsa dell’io personale. In quella circostanza alcuni aspiranti attraversano una forte crisi di paura della morte. Altri invece non ce l’hanno, l’hanno affrontata a rate, in tante piccole crisi, durante il lasso di tempo della loro sadhana che include le vite precedenti.
Questa era anche l’idea di Michael Langford. In realtà dovetti scoprire che la crisi, a rate o tutta in una volta, per la perdita dell’ego quasi mai coincide con Manonasa – tranne in rarissime eccezioni, più uniche che rare, come la realizzazione di Ramana Maharshi.
Manonasa non è uno stato, è la dissoluzione dell’identificazione del jiva (l’io) con la mente. Da quella dissoluzione deriva il Sahaja Samadhi, lo stato naturale.
La disidentificazione dall’io personale e lo stabilirsi nel Sé, è dovuta quasi sempre al fatto che sono rimaste solo poche e deboli vasana (spinte mentali) che non hanno la forza di portare il presunto jnani fuori dal Sé. Però potrebbero farlo in futuro, acquisendo forza da nuove circostanze. È difficile che un aspirante maturo sia distratto da desideri grossolani – ad esempio, vince una lotteria e si ristabilisce nell’ego. Il momento più delicato è il Bardo (il dopomorte). Lì, anche vasana molto sottili potrebbero ricondurci a una reincarnazione condizionata.
Lo stato che consegue allo stabilirsi nel Sé con una mente non ancora completamente distrutta si chiama Kevala Nirvikalpa Samadhi. Assomiglia a un Sahaja Samadhi (in cui si notano ancora dei movimenti mentali, anche se non hanno la forza di portarci fuori dal Sé) ma non è stabile.
Per spiegare la morte dell’io personale Sri Ramana usava una metafora: “Il secchio (l’io personale) è caduto nel pozzo (il Sé)”. Ma la corda del secchio è stata recisa? Se non è stata recisa, vuol dire che vi sono ancora delle vasana dormienti. In tal caso Manonasa non è ancora avvenuto, l’io personale è in ‘coma’ ma non ancora definitivamente morto e lo stato che si è realizzato è il Kevala Nirvikalpa Samadhi.
Jnanananda attraversò la crisi della perdita dell’io individuale. Durò una decina di giorni, non fu eccessiva, e si concluse il 25 aprile del 2021 con la vittoria dell’abbandono al Sé sulla paura di morire. Da allora Jnanananda si stabilì nel Sé.
Credetti che avesse varcato la soglia di Manonasa, e glielo dissi. Ma tre mesi e una decina di giorni dopo, intorno ai primi di agosto, mi disse che stava percependo una leggerissima ansia: un nonnulla, ma che pur c’era. Ci sentimmo al telefono e io le posi la domanda ripetitiva “Ansia di che?”. Dopo pochi minuti le affiorò il ricordo dell’ultimo Bardo prima dell’attuale incarnazione: “Sono nel nirvana. A un certo punto compare l’amore per gli esseri umani e mi sento orientata verso di loro. Ho come seguito un solco, un’abitudine, senza una scelta consapevole. Poi il buio. Sono in prigione. Sono separata da Dio. Sono nel corpo. Non ho avuto fede in Dio!…”.
Dissolvemmo la vasana che l’aveva portata a reincarnarsi e tutte le memorie traumatiche della rinascita. “Con questa vasana, nel prossimo bardo avresti rischiato un’ulteriore reincarnazione condizionata”, dissi. Ma adesso entrambi ci rendevamo conto che la crisi che aveva vissuto nei dieci giorni prima del 25 aprile non era Manonasa, ma semplicemente il conflitto interiore per l’imminente morte (non definitiva) dell’io personale.
“Ma tutto questo è teoria.” pensavo, “Quando l’io personale si immerge nel Sé, lo jnani non può sapere se la corda è stata recisa o no, perché i due stati sono abbastanza simili”. Poiché Sri Ramana Maharshi insegna che ‘solo il risiedere nel Sé libera da ogni legame’, l’unica è continuare a dimorare nel Sé. Così, vi fossero vasana latenti, prima o poi salteranno fuori e verranno bruciate dalla consapevolezza del Sé. “Ma vi sarà un segno che ci dice che Manonasa è stato realizzato?” mi chiedevo. Io non lo sapevo perché non avevo ancora quella esperienza.
L’esperienza arrivò a Jnanananda tra le 2 e le 4 del mattino del 15 maggio 2022 (uso il passato remoto perché mi sembra che da allora sia già passato un sacco di tempo).
“Ero presente in uno stato di dormiveglia e improvvisamente c’era solo il battito di un Cuore che pervade tutto.” mi scrisse Jnanananda, “Come in un sogno, vedo e sento il battito d’ali d’una candida farfalla che leggera nasce dai petali del fiore di loto del sahasrara; libera vola lungo la parte frontale del viso e scende giù fino al Cuore e lì si fonde nel Sé. In quell’istante Tutto è così meraviglioso da lasciarmi senza respiro, sia nel senso emozionale che fisico”.
Sri Ramana insegnava che la realizzazione non sì completa in sahasrara. Nell’Atma Yoga, da sahasrara kundalini deve ridiscendere, lungo un canale frontale che di fatto è un prolungamento di sushumna, nel Cuore spirituale e lì riassorbirsi.
Kundalini è il nome che assume la shakti universale quando è riferita all’individuo. Shakti nasce con la dualità. È l’energia che si crea tra i due poli: il ‘ME’ e il ‘NON-ME’. Dice il Tao Te Ching: “Dall’Uno nasce il Due (la dualità), dal due nasce il Tre (la Shakti), dal tre nascono tutte le cose (la manifestazione)”. È detta Energia Evolutiva perché presiede all’evoluzione della coscienza. Ciò avviene in primo luogo per mezzo dell’evoluzione delle forme, attraverso innumerevoli incarnazioni, fino a giungere a una forma in cui la consapevolezza del jiva (l’io individuale) è abbastanza elevata da potersi riconoscere nel Parabrahman (l’Assoluto). Allora shakti non ha più bisogno di andare attraverso l’evoluzione delle forme, ma completa, nella veste di kundalini, il viaggio della coscienza in una sola vita o in poche altre. Lo fa risalendo sushumna, il canale della consapevolezza, fino a sahasrara; poi da lì ridiscende nel Cuore spirituale (l’Assoluto) e si riassorbe in Esso. Questo è il segno che Manonasa è avvenuto. Durante tale esperienza lo Jnani vive il riassorbimento dell’intera manifestazione nell’Assoluto (il cuore spirituale). Non è un’esperienza forte, perché la discesa di kundalini nel Cuore spirituale avviene solo quando tutto il processo si è completato – Jnanananda mi diceva da giorni di sentire che tutta la manifestazione si stava riassorbendo nel Cuore. Perciò, se il presunto jnani non è a conoscenza di tale passaggio di kundalini, potrebbe non notarlo.
Fuori il mondo fenomenico continua a esistere. Anche kundalini continua a esistere finché il corpo è in vita, ma lo jnani non subisce più modificazioni, né dal mondo né da kundalini. Rimane interiormente nel sonno profondo consapevole. Finché ha un corpo vede i fenomeni del mondo come un sogno, ma più ancora vede ogni cosa come il Sé, o Dio se preferite chiamarlo così.
Alcuni giorni dopo la realizzazione di Manonasa, Jnanananda mi scrisse: “La farfalla bianca non è altro che kundalini che si abbandona totalmente al Sé. L’intero fine della manifestazione si sintetizza in quest’ultimo abbandono”.
“Eccolo il segno di Manonasa!” mi dissi, “Quando lo Jnani sente che kundalini scende da sahasrara nel Cuore e lì si fonde, quello è il segno che la corda del secchio è stata recisa”.
COMMENTI
Mukti – Riguardo alla presunta crisi di Manonasa, la paura di morire, io non l’ho avuta. Per anni, quando mi allenavo a rimanere consapevole nel passaggio tra veglia e sonno, ho avuto momenti di puro terrore. Pian piano sono diventati famigliari: li ho accolti, amati, fino a dissolverli e vederli scomparire.
Ogni tanto compaiono delle vasana; alcune hanno ancora una certa presa, come l’ultima di cui ti ho parlato, ma non hanno la forza di portarmi fuori dal Sé.
Risiedere nel Sé scioglie le modificazioni della coscienza e questo è ciò che accade in modo semplice e senza intenzione. Non vi è l’idea di cosa dovrebbe esserci o non esserci, di ciò che accade e se è giusto o sbagliato, non c’è ricerca di significato; accade senza intenzione, senza separazione dal mondo fenomenico, che è separato senza esserlo: separato nella forma apparente, unito nella sua vera natura priva di ego. Non c’è Sé e non-Sé. Spesso il cuore è colmo d’amore, gratitudine, di sottile e delicata beatitudine senza direzione. La mente è continuamente rinnovata, non si trattiene più nulla, forse lo stretto necessario, ma tutto scivola via in fretta.
Non so dove sono rispetto al tuo scritto. Mi sento piccola, arresa. Dio, il Sé, la manifestazione, kundalini… Quel che rimane una delicata, sottile corrente d’amore, di gratitudine e commozione indifferenziata e immotivata, mentre sullo schermo le immagini sono sempre più sbiadite.
Sergio – Ricordo quando hai perso l’io personale, dicevi: “Non trovo nessun io, eppure ci sono”. Non provavi paura di morire perché l’avevi già consumata nel corso della tua sadhana.
Quando ci si stabilisce nel Sé, quasi sempre si entra nel Kevala Nirvikalpa Samadhi, che in pratica è come il Sahaja Samadhi. Infatti non c’è più sforzo, neppure di mantenere l’attenzione sul Sé, e dunque è uno stato naturale! In cosa differisce dal Sahaja Samadhi? Come tu ben descrivi, si notano ancora delle vasana, e ciò ci dice che la corda del secchio non è ancora stata recisa. Ma continuando a risiedere nel Sé, quelle deboli vasana rimanenti verranno arse come semi bruciati. Allora, a tempo debito, sopraggiungerà l’auspicato Manonasa.
È un peccato che Jnanananda sia così occupata col suo lavoro, avrebbe potuto darci altre testimonianze della sua esperienza. Adesso, per averle, dovremmo aspettare ottobre. Prima di partire mi ha detto: “Casa mia non è più un luogo. È qui, là, ovunque”.
Le invio questa canzone al fronte…