pulizia mentale e autoindagine

Nell’autoindagine ortodossa non c’è nessuna pulizia mentale; quando compare un contenuto mentale l’aspirante si chiede: “A chi appare questo? Chi sente questo? Chi pensa questo?”, scartando la mente e riportando l’attenzione dal percepito al Percipiente. Se però l’aspirante ha blocchi mentali grossi impiegherà molto tempo con l’autoindagine col rischio che abbandoni la sadhana. Langford continuò a praticare l’autoindagine 11 ore al giorno per 23 anni, senza risultati, addirittura senza capire cosa fosse l’Io Sono. Un caso più unico che raro, per me 23 mesi sarebbero stati insopportabili. Poi si realizzò in ulteriori due anni.

Di contro fare pulizia mentale conduce l’aspirante a ridentificarsi con la mente, a considerarla significante e reale. Inoltre la pulizia mentale richiede un gran dispendio di energie e stanca molto.

Perciò un maestro di Advaita Vedanta non assegna mai la pulizia mentale a cuor leggero. Prima di farlo, valuta bene se possa accorciare i tempi della sadhana, altrimenti esorta a perseverare nell’autoindagine. Molti insegnanti ortodossi non fanno nessuna pulizia mentale che non sia l’autoindagine stessa, ma in questo modo parecchi aspiranti non ce la faranno.

Sapete cosa sono le subpersonalità? Sono le varie tipologie di personalità psicotiche: paranoide, schizoide, depresso, narcisista, fobico, ossessivo, psicosomatico ecc. Vengono chiamate subpersonalità perché la persona, differentemente da uno psicotico, appare normale. Il quadro nevrotico di una subpersonalità ha una scala che va da un disturbo leggero della personalità a un disturbo molto grave. Prendete il pilota della Germanwings che si suicidò precipitando sulle Alpi francesi, portandosi dietro aereo, equipaggio e passeggeri. Quelli che lo conoscevano non poterono che dire la solita frase: “Chi se lo aspettava? Era tanto una brava persona”. Lui aveva una subpersonalità paranoide, col senno del poi, molto grave. Una subpersonalità paranoide di livello medio-alto, non riuscirà a praticare l’autoindagine.

Vedete che il panorama è piuttosto complesso… Ma in termini semplici cosa sono queste subpersonalità? Quando il bambino viene bloccato nell’espressione del suo amore, si chiude e sviluppa una delle varie subpersonalità come strategia di sopravvivenza, in accordo con le circostanze della sua esperienza relazionale.

Da qui potete comprendere che praticando l’amore – ad esempio secondo l’insegnamento di Lester Levenson che ho tanto patrocinato – si va direttamente a sanare l’origine stessa delle varie subpersonalità, senza bisogno di avere delle competenze psicologiche. Tuttavia quando l’insegnante ne ha, se l’allievo ne avesse bisogno ed ha la maturità per farlo, potrebbe mostrargli i meccanismi mentale e le emozioni della sua subpersonalità nevrotica e sollecitarlo a lasciarli andare e a trasformarli un amore. Far questo quando l’allievo si sta aprendo al Sé sarebbe un errore madornale, e rivelerebbe che quel maestro è ancora ben identificato con la mente.