Una sadhana è assai ampia e complessa perché lungo il suo corso va a trasformare innumerevoli aspetti – fisici, energetici e mentali – dell’aspirante. Infatti, anche all’interno della medesima Via, ogni sadhana non può che essere unica e irripetibile.
Proprio per questo i miei post quindi non hanno la pretesa di indicare una sadhana – cosa che può essere fatta solo all’interno della relazione continuativa tra maestro e allievo. Essi sono quasi sempre ispirati dalle domande che ricevo dagli aspiranti e io lo posto per dare degli spunti, ma siete voi che dovete stabilire se sono adatti a voi o no.
Fatta questa precisazione vorrei parlarvi del passaggio da neti-neti (non sono questo, non sono quello) a iti-iti (questo è me, questo è me).
All’inizio dell’Autoindagine è necessario separare il Sé dal non-sé. L’aspirante crede di essere un corpo, una persona; perché scopra Chi veramente è lui, deve cominciare a togliere cosa non è lui. Per dirla secondo Sri Atmananda, nella frase “Io telefono a Giorgio” le persone comuni portano attenzione solo alla parte oggettiva, cioè “telefono a Giorgio”; per scoprire il Sé bisogna invece portare l’attenzione alla parte soggettiva, cioè “Io”!
Seguendo questa pratica di riportare sempre l’attenzione al soggetto, l’aspirante scopre il Sé — prima la mente purificata dal non-sé vede il Sé, e poi si fonde col Sé. Quando l’aspirante ha ottenuto diverse esperienze dirette (non duali) della sua vera natura, giunge il momento di integrare anche il non-sé. Allora la pratica meditativa è la seguente : l’aspirante siede, chiude gli occhi e osserva ciò che appare con una sottile intenzione di riconoscere (qualsiasi cosa appaia) “questo è me”. ‘Sottile intenzione’ significa che non deve fare nessun atto di forza, altrimenti ritorna l’ego che è la causa stessa della dualità. Egli deve lasciare che questa contemplazione, che ha insita la vocazione di riconoscere “questo è me”, compia la trasformazione. E la trasformazione non tarderà. In una prima fase gli oggetti che appaiono ridiventano coscienza e si dissolvono nella coscienza; in una seconda fase, raggiunta una massa critica, la pratica vi apre la porta al samadhi duraturo.
Quando l’attenzione torna spontaneamente a dimorare nella Pura Coscienza, allora dimorare lì.
“Questo è me” è l’inizio della conversione: dall’era della lotta alla riappacificazione, l’integrazione totale. Tanta pace comincerà ad affluire in voi, fino a condurvi naturalmente al samadhi, lo stato unitivo,. Chiesero a Sri Ramana: “Per raggiungere la Realizzazione è necessario il samadhi? “Sono la stessa cosa” replicò Bhagavan.
È scontato che dovete farlo anche fuori dalla meditazione. Se fate una passeggiata potete farlo di continuo; se siete impegnati in qualche attività che assorbe la vostra attenzione, allora dovete approfittare di ogni secondo di pausa per ricordare a voi stessi: “QUESTO È ME!”.
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