— Maestro, la mia sadhana consiste nella meditazione quotidiana di circa 2 ore, distribuite tra mattina e pomeriggio. La meditazione è incentrata sulla contemplazione del Puro Essere a cui cerco di abbandonarmi. Durante la giornata cerco di essere centrato sui pensieri che la mente propina, con la consapevolezza di non essere io a produrli ma di essere il testimone consapevole che nulla è reale e che sto come vivendo come in un sogno mortale. Questo davvero mi aiuta a non arrabbiarmi o abbattermi nei momenti in cui ‘dovrei o potrei’ farlo.
Con la meditazione raggiungo un senso di meravigliosa pace ma non ancora paragonabile alla sensazione che ho avuto la ‘prima volta’ in cui vi è stata un’esperienza diretta, anche se mi sovvengono come visioni di quel momento.
La saluto rispettosamente.
— Ti faccio una proposta per la meditazione formale che è più difficile di quanto fai adesso:
Siediti e chiudi gli occhi.
Guarda cosa appare.
Ricorda che non sei separato da ciò che appare.
Stai in ciò che appare con una propensione a diventare Uno con esso.
Prova e fammi sapere.
La via diretta si rivolge solo e sempre al Sé, non usa pratiche intermedie.
Anche la pratica che fai fuori dalla meditazione formale è tanto indiretta.
Usa il ‘Chi sono io?’. Però non in maniera spasmodica, ma metodica e calma. Noi non ci aspettiamo un’esperienza diretta con fuochi e fulmini, che hai visto quanto dura, aspettiamo il quieto dimorare stabile nel Sé.
Quindi ‘Chi sono io?’ non ha la funzione di evocare una risposta, ma di estrarti dalla mente, dalla persona, è portarti verso il Sé o al Sé. Al contempo funziona come neti-neti verso l’illusione. Lascialo lavorare nel tempo, non pretendere rendiconti a breve termini. Ti distacca ugualmente dai pensieri, però non con un metodo mentale, ma volgendoti direttamente al Sé.
Il ‘Chi sono io?’ si interrompe non appena dimori nel Sé e riprende non appena ne esci.