Da Annamalai Swami “I miei giorni con Bhagavan”, Edizioni Il Punto d’Incontro
Rimproveri ad assistenti e incaricati alle varie mansioni nell’ashram
Gli assistenti di Bhagavan erano sempre scelti e reclutati da Chinnaswami. Per quanto ne so, Bhagavan non chiese mai a nessuno di essere suo assistente, ne cercò mai di liberarsi di coloro che gli furono assegnati. Occasionalmente, delle persone si offrivano di fare dei lavorio, ma i loro servigi non furono mai accettati. Divenne una tradizione dell’ashram che gli assistenti di Bhagavan fossero sempre giovani uomini non sposati.
Una volta, quando un’infermiera qualificata del nord dell’India si offrì di fare da assistente, Bhagavan rispose: “Chiedi alle persone in sala”.
Krishnaswami, il capo assistente, e alcune delle altre persone presenti si opposero: “No! No! Non possiamo mettere delle donne a servire Bhagavan. Non è adeguato”.
Bhagavan si rivolse alla donna e disse: “Tutte queste persone la pensano allo stesso modo. Che cosa posso fare?”.
Bhagavan insisteva fermamente che i lavori dell’ashram fossero fatti adeguatamente e puntualmente. Come risultato, gli assistenti che lavoravano sotto il suo costante controllo subivano di frequente i suoi commenti critici. Bhagavan si arrabbiava raramente con qualcuno, ma quando accadeva, era di solito per qualche mancanza dei suoi assistenti.
Nel primo periodo di Krishnaswami all’ashram, Bhagavan una volta si arrabbiò moltissimo con lui perché si rifiutò di scacciare le scimmie dalla sala. Le scimmie locali, sapendo che molte persone venivano nella sala con offerte di frutta, erano solite sedersi nei paraggi per cercare di rubarle agli innocenti visitatori. Bhagavan scoraggiava i devoti quando cercavano di nutrire le scimmie vicino alla sala, perché non voleva che esse sviluppassero l’abitudine di attendere il cibo in quel posto. Sebbene qualche volta Bhagavan scoppiasse a ridere quando le scimmie riuscivano a rubare una banana o un mango, si arrabbiava con i suoi assistenti quando esse facevano delle razzie in sala. Bhagavan rimproverava frequentemente Krishnaswami perché non scacciava le scimmie e permetteva che entrassero in sala.
Alla fine gli disse: “Sembra che tu non sia preparato ad ascoltare ciò che dico. Farai il tuo lavoro adeguatamente soltanto se Chinnaswami verrà a dirti cosa fare”.
Bhagavan allora riportò la questione a Chinnaswami che prontamente fece una severa ramanzina a Krishnaswami sulla necessità di svolgere adeguatamente i propri doveri. Dopo questo, Krishnaswami divenne uno zelante inseguitore di scimmie. Teneva una fionda in sala e scacciava le scimmie alla minima loro provocazione.
C’era un altro attendente, Rangaswami, che attraversò un periodo di disattenzione. Dopo che ebbe fatto il servizio in sala per qualche tempo, smise di prestare attenzione ai suoi doveri e iniziò a meditare. Non si curava nemmeno delle scimmie. Quando i visitatori ponevano le loro offerte di frutta vicino a Bhagavan, le scimmie erano in grado di rubarle senza alcuna paura di essere infastidite perché Rangaswami, che si supponeva dovesse proteggesse la frutta, era seduto sul pavimento con gli occhi chiusi.
Bhagavan tollerò questo comportamento per alcuni giorni, ma alla fine lo rimproverò dicendo: “Se vuoi meditare in questo modo, va da qualche altra parte. Se vuoi vivere qui devi fare servizio come tutti gli altri. La meditazione è contenuta nel tuo servizio al Guru”. Rangaswami capì il suo errore e ritornò a occuparsi dei suoi doveri.
In un’altra occasione Bhagavan si arrabbiò con lui perché aveva raccontato una bugia. Mentre Rangaswami stava sintonizzando la radio in sala, girò una delle manopole in modo tale che la radio smise di funzionare.
Invece di dire a Bhagavan di averla rotta, disse: “Sembra che qualcuno abbia rotto la radio”. Più tardi, quello stesso giorno, Rangaswami mi confessò che era stato lui e che aveva mentito a Bhagavan. Avevo la ferma convinzione che a Bhagavan si dovesse dire la verità, così andai in sala e gli raccontai ciò che Rangaswami mi aveva detto.
Bhagavan reagì esclamando con ira: “Racconta bugie persino a me! Non dovrei nemmeno guardarlo in faccia!”. Concretizzò la sua minaccia ignorando Rangaswami per il resto della giornata.
Qualche volta Bhagavan si arrabbiava anche quando i suoi assistenti erano disattenti. Vaikunta Vas, uno degli ultimi assistenti, una volta lo fece arrabbiare scottandogli accidentalmente una gamba. Erano circa le nove di sera e Vaikunta Vas era un po’ assonnato per l’eccesso di cibo consumato durante la cena. Con la mente un po’ assente poggiò una borsa d’acqua calda sulle gambe di Bhagavan, senza curarsi di controllarne la temperatura. L’acqua era troppo calda. Bhagavan sobbalzò dal dolore, si arrabbiò con lui e gli ordinò di uscire dalla sala. Vaikunta Vas fu così mortificato dal suo errore che lasciò immediatamente l’ashram e ritornò al suo villaggio vicino a Pondicherry.
La severità di Bhagavan e la sua insistenza sull’obbedienza assoluta, si manifestavano solamente nei riguardi di coloro che lavoravano nell’ashram a tempo pieno. Se dei visitatori commettevano degli errori, era raro che li rimproverasse. C’era un medico di Madras, Srinivasa Rao, che una volta ebbe il permesso di massaggiare i piedi e le gambe di Bhagavan. Di solito, ciò veniva consentito soltanto agli assistenti, ma in certe occasioni il permesso veniva esteso ai devoti più vecchi.
Bhagavan disse al dottore: “Massaggia dalle ginocchia alle caviglie, non al contrario”, ma il dottore ignorò le sue indicazioni.
Pensando che la sua conoscenza medica fosse superiore a quella di Bhagavan, insistette nel massaggiare nella direzione opposta. Bhagavan non si lamentò, ma dopo alcuni minuti gli disse: “Basta!”.
Dopo che il medico ebbe lasciato la sala, Bhagavan commentò: “Poiché è un dottore, non vuole ascoltare il mio consiglio. Ciò che diceva e il suo modo di massaggiare non erano corretti”.
Bhagavan permise a quell’uomo di continuare con il mas’saggio perché non era un residente dell’ashram. Se qualcuno dei suoi assistenti avesse cercato di comportarsi così, in modo evidentemente contrario ai suoi desideri, sarebbe stato contraccambiato con un immediato rimprovero.
Bhagavan occasionalmente si arrabbiava anche con altri incaricati a lavoratori vari nell’ashram se lo disobbedivano deliberatamente. Nell’ufficio c’era un uomo chiamato Mouni Srinivasa Rao che una volta incorse nell’irritazione di Bhagavan cercando di scavalcare le sue istruzioni. Uno dei lavori di Mouni Srinivasa Rao era di scrivere le risposte a tutte le domande spirituali che arrivavano nell’ashram per posta.
Queste prime bozze venivano mostrate a Bhagavan che le esaminava e faceva le necessarie correzioni. In un’occasione, Mouni Srinivasa Rao si rifiutò di accettare che le correzioni di Bhagavan fossero definitive. Corresse le modifiche di Bhagavan e rimandò la lettera nella sala. Bhagavan la controllò per la seconda volta, cancellando tutte le correzioni che erano state aggiunte da Mouni Srinivasa Rao. Quando la lettera fu riportata nell’ufficio, Mouni Srinivasa Rao tornò a modificare alcune delle correzioni di Bhagavan. Portò di nuovo la bozza nella sala e cercò di farla leggere a Bhagavan, ma questi si rifiutò persino di guardarla; la lanciò verso Mouni Srinivasa Rao divendo molto irritato: “Fa’ ciò che vuoi!”.
Qualche volta Bhagavan mostrava il suo dispiacere in modo più sottile. Una notte, dopo la cena, ci fu una grande lite nella sala da pranzo durante la quale Subramaniam Swami colpi Krishnaswami sul volto. Krishnaswami andò immediatamente a lamentarsi da Bhagavan, ma questi non sembrò interessarsi alla faccenda.
Qualcuno aveva pagato una grande bhiksha (cibo richiesto attraverso l’elemosina) per il giorno seguente, il che significava molto lavoro per tutti in cucina. Bhagavan di solito arrivava in cucina alle tre del mattino per aiutare Subramaniam a tagliare le verdure, ma quel mattino rimase nella sala e lasciò che Subramaniam facesse tutto il lavoro da solo. Questi passò le prime due ore chiedendosi perché Bhagavan fosse in ritardo, ma alla fine capì che si trattava di una punizione per aver attaccato Krishnaswami. Bhagavan confermò la sua teoria rifiutandosi di parlargli, o persino di guardarlo, per il resto della giornata.