Sono due cose diverse. A volte possono coincidere, a volte no. Un santo potrebbe non essere illuminato. Un illuminato potrebbe non essere un santo. Sicuramente quest’ultimo, non avendo spinte egoiche, non farà del male agli altri, ma potrebbe anche essere un ubriacone, avere un linguaggio grossolano e via dicendo.
Il Sé, l’Atma, non è minimamente toccato dalle azioni che compie la persona che lo ospita – per così dire.
Però, non vi è maestro spirituale che non patrocini la condotta etica. Questo perché per raggiungere la liberazione si ha bisogno di una buona sorte: trovare il giusto insegnamento o maestro, comprenderlo, riuscire a praticarlo, avere buona salute e condizioni sociali favorevoli per farlo, ecc.
Ma la cattiva sorte dovuta al cattivo karma non è l’ostacolo maggiore. Una persona buona è in genere meno cementata nella mente e quindi più disposta a mollare le proprie identificazioni e vedere il Divino. Uno che ha fatto sciogliere della gente nell’acido, sondo voi è aperto a esplorare i reami più rarefatto della coscienza?…
Questo però, anche se di fatto funziona come una regola, sul piano scientifico-spirituale resta un apprezzamento statistico, perché il vero principio scientifico, verificato dall’esperienza diretta non-duale di ogni aspirante e illuminato, è che il Sé non c’etra niente con le vostre azioni.
Valmiki, l’autore del Ramayana, era un bandito che aveva passato a fil di spada 72 persone, innocenti che non gli avevano fatto nulla, per rapinarle. Ne era persino orgoglioso da teneva in una brocca delle perline, una per ogni persona uccisa… Un giorno passo nei boschi dove lui imperversava il saggio Narada. Quando Valmiki lo aggredì, Narada gli chiese perché lo facesse e Valmiki gli rispose che era per sostentare la sua famiglia. “Non sai che questo ti porterà del cattivo karma che si riverserà che sulla tua famiglia? La tua famiglia è contenta che ti procuri da vivere in questo modo?”, disse Narada. Valmiki assicurò che erano contenti di lui. “Sei sicuro?”, ribatté Narada, “Perché non glielo chiedi?”. Valmiki dubbioso chiese alla sua famiglia e questi gli dissero che erano molto dispiaciuti che lui facesse quella vita. Allora Valmiki tornò da Narada che lo istruì per la sadhana. Valmiki divenne un grande illuminato e devoto, tanto che, sotto ispirazione, scrisse il Ramayana. È però – che io sappia – l’unico efferato criminale citato dalla Scritture che divenne un grande illuminato…
L’illuminato, una volta identificato col Sé, può ignorare completamente la sua forma. Quando chiedevano a Nisargadatta perché fumasse e se ciò fosse coerente con la spiritualità, lui rispondeva: “Io non fumo!”.
Ora avrete notato che vi sono degli illuminati che appaiono risplendere grandiosi e spiritualmente potenti, e altri che sono meno luminosi [non tocco qui il fenomeno di maestri, anche famosi, che si dicono illuminati e non lo sono]. Questa differenza dipende da quando sattva* (purezza, santità) vi sia nella loro forma. Più alto è il grado di sattva, più luminoso è potente è l’illuminato – ad esempio Anandamayi Ma, Ramana Maharshi e Ramakrishna erano sia santi che illuminati, e così molte altre grandi Anime. Questo è un gran dono per l’umanità, anche se per la natura dell’illuminato le cose non cambiano. Ecco perché alcuni illuminato, mossi dalla compassione per gli esseri, continuano a coltivare la purezza.
* Qui intendo la parola ‘sattva’ come assoluto, cioè purezza, santità; non nel senso del guna relativo (buona salute, intelligenza, brillantezza, successo) di cui parla Krishna ad Arjuna indicandogli che anche l’attaccamento a quel sattva va abbandonato.
Va però detto che il sattva supremo è il Sé, perciò anche l’illuminato con meno sattva nella sua forma qualcosa di speciale c’è l’ha.
Una volta chiesero a un maestro – di cui ora non ricordo il nome – se Nisargadatta fosse illuminato dato che fumava, e questi rispose che non lo era perché il fumo è dannoso; io credo probabile che fosse lui a non conoscere l’illuminazione.
Vi ho scritto questo non per invitarvi a non essere etici – lo sconsiglio fortemente, a meno che non vi piaccia soffrire –, ma per ispirarvi ad affrancarvi dal peso della memoria dall’azione, sia fatta che ricevuta. Non portatevi sulle spalle quest’inutile fardello. Voi non c’entrate niente con l’azione.