Una signora americana, una teosofa, chiese: “Come posso avvicinarmi di più al mio maestro?”.
M.: Quanto siete lontana da lui ora?
D.: Sono lontana da lui, ma vorrei essergli più vicina.
M.: Dovete prima conoscere il vostro Sé, per scoprire quanto sia lontano l’altro. Chi siete ora? Siete la vostra personalità?
D.: Sì, sono la personalità.
M.: La personalità è indipendente dal Sé?
D.: A volte.
M.: Quando?
D.: Voglio dire che a volte ho dei flash della realtà e altre volte no.
M.: Chi è consapevole di questi flash?
D.: Io… Intendo dire la mia personalità.
M.: Questa personalità è consapevole di essere separata dal Sé?
D.: Quale Sé?
M.: Cosa pensate sia la personalità?
D.: Il sé inferiore.
M.: Allora intendevo chiedere se il sé inferiore è consapevole indipendentemente dal Sé superiore?
D.: Sì, a volte.
M.: Adesso chi sente di essere lontano dal maestro?
D.: Il Sé Superiore.
M.: Il Sé superiore ha un corpo e dice che il maestro è lontano? Parla attraverso la vostra bocca? Siete separata da Lui?
D.: Potete dirmi come imparare ad essere consapevole di cosa faccio anche senza il corpo, come nel sonno?
M.: La consapevolezza è la vostra natura. È la stessa sia nel sonno profondo che nella veglia. Come la si potrebbe acquisire di nuovo?
D.: Ma nel sonno non ricordo cosa ho fatto e come.
M.: Chi dice “non ricordo”?
D.: Lo dico io, adesso.
M.: Ma eravate la stessa anche nel sonno, perché nel sonno non lo dicevate?
D.: Non ricordo cosa dico nel sonno.
M.: Nello stato di veglia voi dite: “Io so, io ricordo”. Questa stessa personalità dice: “Nel sonno non sapevo, non ricordavo”. Perché questa domanda non sorge nel sonno?
D.: Non so cosa accade nel sonno, per questo pongo la domanda ora.
M.: La domanda riguarda la fase del sonno e dev’essere posta lì. Non riguarda la veglia, nella quale non v’è ragione apparente per questa domanda.
La questione è che nel sonno non avete limiti e dunque non si pone alcuna domanda. Mentre ora indossate dei limiti, vi identificate con il corpo e nascono domande come queste.
D.: Lo capisco, ma non lo realizzo; vale a dire che non realizzo l’unità nella molteplicità.
M.: Poiché siete nella molteplicità, dite di comprendere l’unità, di avere flash, di ricordare cose ecc. Voi considerate questa molteplicità reale. Ma l’Unità è la Realtà e la molteplicità è falsa. La molteplicità deve andarsene prima che l’Unità riveli se stessa quale unica Realtà.
L’Unità è sempre reale. Non manda flash della propria esistenza in questa falsa molteplicità. Al contrario, la molteplicità impedisce la realizzazione della verità.
Poi altri proseguirono la conversazione.
M.: Lo scopo della pratica è rimuovere l’ignoranza, non acquisire la Realizzazione. La Realizzazione è sempre presente, qui e ora. Se fosse qualcosa di nuovo da acquisire, sarebbe assente in un momento e presente in un altro. In tal caso non sarebbe permanente, e quindi non varrebbe la pena di uno sforzo. Invece la Realizzazione è permanente, eterna ed è qui e ora.
D.: È necessaria la Grazia per rimuovere l’ignoranza.
M.: Certamente. Ma la Grazia c’è sempre. La Grazia è il Sé, non qualcosa da acquisire. Tutto ciò che serve è conoscerne l’esistenza. Ad esempio, il sole è soltanto luce, non vedere l’oscurità. Altri, però, parlano dell’oscurità che si allontana all’avvicinarsi del sole. Allo stesso modo, anche l’ignoranza è un fantasma e non è reale. A causa della sua irrealtà, viene rimossa una volta scoperta la sua natura irreale.
Il sole c’è ed è luminoso. Siete circondata dalla luce del sole. Eppure, se volete conoscerlo, dovete volgere gli occhi nella sua direzione e guardarlo. Allo stesso modo, anche la Grazia si ottiene solo con la pratica, anche se è qui e ora.
D.: Spero che con il desiderio costante di abbandonarsi si sperimenti una Grazia crescente.
M.: Abbandonatevi una volta per tutte e lasciate perdere il desiderio. Il desiderio c’è finché si mantiene il senso di essere colui che agisce; ciò è anche la personalità. Se il senso di essere l’agente scompare, si trova il Sé che risplende puro.
La schiavitù sta nel senso di essere l’autore delle azioni, non nelle azioni stesse.
“Sii quieto e sappi che io sono Dio”. Qui la quiete è l’abbandono totale senza tracce d’individualità. La quiete prevarrà e non vi sarà agitazione della mente. L’agitazione della mente è la causa del desiderio, del sentire di essere l’autore delle azioni e della personalità. Se l’agitazione viene fermata c’è quiete. Qui ‘sapere’ significa ‘essere’, non la conoscenza relativa che implica la triade di soggetto, conoscenza e oggetto.
D.: Sono utili i pensieri ‘Io sono Dio’ o ‘Io sono l’Essere Supremo’?
M.: ‘Io sono Colui che sono’. L’ ‘Io Sono’ è Dio, non il pensare ‘Io sono Dio’. Realizzate l’ ‘Io Sono’ e non pensate ‘Io Sono’. È scritto: ‘Sappi che sono Dio’, e non ‘Pensa che io sono Dio’.
Più tardi Sri Bhagavan continuò: “È scritto ‘IO SONO Colui che SONO”. Ciò significa che una persona dev’essere l’IO. Essa è sempre e soltanto l’IO, non è altro. Eppure chiede ‘Chi sono io?’. Solo chi è vittima dell’illusione chiede ‘Chi sono io?’, non colui che è pienamente consapevole di sé. È la falsa identità del Sé col non-sé che vi fa chiedere ‘Chi sono io?’.
Ancora più tardi: “Ci sono diverse strade che portano a Tiruvannamalai, ma Tiruvannamalai è la stessa, qualunque sia la strada che percorriate. Allo stesso modo, l’approccio alla realizzazione varia secondo la personalità, ma il Sé è lo stesso. Inoltre, quando ci si trova a Tiruvannamalai è ridicolo chiedere la strada per giungervi. Allo stesso modo, essendo il Sé, e assurdo chiedere come realizzarlo. Voi siete il Sé. Rimanete il Sé. Questo è tutto. Le domande sorgono per l’errata identificazione del Sé con il corpo. Questa è l’ignoranza che deve scomparire. Rimuovendola, soltanto il Sé ‘è’.