Sri Atmananda: “Non è l’esperienza diretta in sé che illumina, ma è la corretta comprensione del suo significato”.
Sri Atmananda (1883-1959) ha insegnato un approccio vedantico all’autorealizzazione. Era molto rispettato da Paul Brunton, Ramana Maharshi e molti altri. Aveva raggiunto la competenza nella via di Bhakti, Yoga e Jnana prima di insegnare la via di Jnana. John Levy e Walter Keers ebbero un ruolo importante nel portare il suo insegnamento all’attenzione dell’occidente. John Levy (filosofo) assistette personalmente Sri Atmananda nella traduzione in inglese delle sue opere Atma Darshan e Atma Nivriti.
Atmananda non credeva nell’ascetismo che nega il mondo. Aveva moglie e famiglia, nonché una carriera impegnativa come pubblico ministero e sovrintendente della polizia nello stato di Trivancore. Nel ’49 Sir Radhakrishnan nel corso di una sua intervista gli chiese: “È vero che lei completò tutta la sua sadhana spirituale mentre lavorava al dipartimento di polizia?”. Sri Atmananda rispose prontamente: “Sì, è assolutamente vero. E parlo seriamente quando dico che se qualcuno mi chiedesse sulla vocazione e la professione più adatta al progresso spirituale, raccomanderei senz’altro la polizia o i militari, perché offrono i massimi ostacoli e tentazioni. Il successo ottenuto in tali condizioni è definitivo e irreversibile”.
Sri Atmananda era fermamente convinto che l’unica cosa a cui si doveva rinunciare per la liberazione fosse l’ego, e ciò era possibile solo attraverso la luce della conoscenza, o intuizione spirituale, e non attraverso lo sforzo diretto verso qualche obiettivo al di fuori di noi stessi. Anzi, il metodo corretto era riconoscere, trasformare e assorbire ogni cosa oggettiva nella Soggettività ultima. Egli disse: “Dio è solo un concetto, sebbene il più alto che la mente umana possa raggiungere. Ma tu non sei un concetto”. Per Atmananda tutto ciò che veniva percepito o concepito, perfino il nirvikalpa samadhi, era oggettivo e doveva essere riconosciuto in ciò che egli chiamava il “Principio-Io ultimo”.
Il Maestro di Atmananda volle che egli praticasse prima il percorso di devozione a Krishna, poi varie pratiche yogiche e infine il sentiero del Jnana, usando la rigorosa indagine (vichara) “Chi sono io?”. Sri Atmananda (allora Krishna Menon) avrebbe voluto praticare solo il sentiero della conoscenza, ma il Maestro gli disse: “Pratica anche Bhakti e Yoga. Jnana basterebbe per la realizzazione, ma voglio che tu sia qualcosa di più per motivi che capirai solo in seguito”.
Vi è infatti una bella differenza tra l’essere uno jnani realizzato e l’essere un Acharya o saggio Guru. Quest’ultimo, a parere di Atmananda, doveva avere familiarità con gli altri percorsi spirituali, al fine di poter guidare gli aspiranti che venivano da lui secondo le loro esigenze e caratteristiche. Il grande Adi Shankara, oltre ad essere uno jnani, era anche bhakta, tantrico e uno yogi esperto con siddhi avanzate. Come più volte ho detto, l’essere realizzati non significa automaticamente essere dei buoni maestri.
Sri Atmananda completò i percorso di Bhakti in soli sei mesi, e ne impiegò altri nove per completare il percorso di Yoga. Quindi iniziò ad avere lunghi periodi di nirvikalpa samadhi, ma – come Brunton – rimase insoddisfatto, perché si rese conto che il samadhi era limitato nel tempo e causato da sforzo [quella era l’esperienza limitata che aveva all’ora]; mentre l’Assoluto che desiderava era senza causa e auto-luminoso. Completate le vie di Bhakti e Yoga, intraprese il sentiero di Jnana e, nel 1923, in soli quattro anni di sadhana complessiva, ottenne la realizzazione. Subito dopo ricevette interiormente dal suo Guru il nome Atmananda, e da quel momento in poi fu chiamato così.
Dopo la realizzazione, come Nisargadatta e molti altri, Sri Atmananda voleva intraprendere la via del rinunciante errante, ma il suo Guru, apparsogli in una visione, gli consigliò di rimanere capofamiglia, servendo sua moglie, la famiglia e la società, e preparandosi in tal modo per i devoti che sarebbero venuti a lui in futuro.
Sri Atmananda disse a un aspirante che are esperto nell’entrare nella più alta trance mistica del nirvikalpa che ciò era buono, ma che non era lo stato più elevato; ora per lui era necessario “comprendere il mondo attraverso l’intelligenza della mente”. Che cosa significa? Che per comprendere la Vera Natura è necessaria la realizzazione, ma per comprendere il mondo è necessaria la scienza. Pensate a un insegnante spirituale. C’è differenza se ha conoscenze psicologiche o no. C’è differenza se ha conoscenza di altri sentieri o no. Da un mio amico venne un allievo che era stato con un altro insegnante seguace di Nisargadatta Maharaj. Questo aspirante non aveva avuto successo con quell’insegnante, che a suo dire si limitava quasi sempre a rispondergli: “Aggrappati all’Io Sono”. Il mio amico si rese conto che questo allievo era una persona devota e sensibile, ma c’era qualcosa che non andava. Indagando venne a sapere che a otto anni era stato abbandonato dal papà che si era innamorato di un’altra donna. Per questo individuo sensibile era stato un trauma che aveva segnato tutta la sua personalità. Essendo di natura devota, aveva soppresso tutti i sentimenti negativi che erano emersi contro il padre quando lo aveva abbandonato. Questa caratteristica era ora diventata automatica e completamente inconscia. Come fare? Il mio amico l’ha guidato per un anno quasi esclusivamente con l’interpretazione dei sogni. In questo modo l’allievo è diventato consapevole delle sue dinamiche inconsce ed ha gradualmente imparato a confrontarle ed accettarle. Ma se non avesse avuti un maestro capace nell’interpretazione dei sogni, per lui non sarebbe stato facile progredire.
Possiamo anche dire che lo Stato Naturale c’è sempre, ma è attraverso la forma che si traduce Dio in Terra.