un dispiacere relativo

Di recente ho avuto un dispiacere relativo – poiché li colloco all’interno dell’illusione tali dispiaceri durano poco. Comunque, un allievo che studiava con me da più di 8 anni è ritornato di punto in bianco alla casella zero del gioco dell’oca, cioè è tornato com’era prima che iniziasse lo studio e la pratica dell’advaita vedanta. Eppure lo ritenevo prossimo alla realizzazione; era nella fase in cui l’aspirante può entrare a volontà nel Sé, il che significa che il suo samadhi è senza sforzo ma ancora discontinuo. Una minaccia alla sopravvivenza della sua persona (teme di perdere il posto di lavoro) l’ha riportato indietro. Ora sembra un ateo, è persino blasfemo: “Io mi sono abbandonato a Dio, ma Dio non si è fatto sentire”… Non è certo questo l’abbandono. Ogni autentico devoto sa che il Sé è un amante che pretende tutto senza che vi sia quesito né pretesa alcuna. QUESTO È IL VERO ABBANDONO A DIO!

Ho cominciato a chiedermi come tutto ciò possa essere accaduto. Non trovando risposta, ho estratto un numero casuale tra 1 e 653 (il totale dei Discorsi di Sri Ramana Maharshi nell’edizione italiana). È uscito il 465, che mi ha dato la risposta completa – vi invito a leggerlo, è bellissimo. Grazie Amato Ramana 🙏

Ora desidero che comprendiate in pratica come si vive nel sahaja samadhi, il samadhi ininterrotto e senza sforzo, che indica l’avvenuta distruzione della mente (resta solo la sua funzione computazionale e mnestica quando serve, senza che invada più la coscienza se indesiderata) e la realizzazione senza più ritorno all’ego. Lo farò attraverso la testimonianza di Jnanananda, che le sue parole vi siano d’ispirazione:

— Come è avvenuta in te l’esperienza del samadhi ininterrotto? Come ci sei arrivata?

— Considerandolo adesso, è come se non ci fosse un momento di inizio, perché quando sei Quello, sei sempre stato Quello. In pratica, da quando si è stabilito il samadhi ininterrotto, c’è sempre una corrente sotterranea che mi collega al Silenzio del Sé, e c’è anche il movimento delle onde superficiali. C’è dunque il silenzio dell’indiviso oceano – la fermezza, l’immobilità del Sé senza movimenti mentali – e poi c’è il movimento mentale relativo alla vita quotidiana – devo andare a lavoro, devo fare la spesa ecc. Questo movimento costituisce le onde superficiali, che sono pure il Sé, ma non turbano il Silenzio dell’unità trascendente dell’oceano, che c’è sempre, anche quando si parla. 

Quando si è nel Sé, si è costantemente innamorati del Sé, è come un innamoramento continuo, sempre presente [è la nostra natura più profonda fatta di assoluta libertà]. A volte si percepisce fisicamente come beatitudine; la si può paragonare al profumo di un fiore, all’aroma di un giardino meraviglioso pieno di fiori, il giardino di Dio, la cui beatitudine è rappresentata dal profumo dei fiori. Altre volte c’è solo un Silenzio assoluto, immane.

Portando l’attenzione sulla persona – la maschera –, vedo che è sostenuta da un corpo col quale non v’è più identificazione, in quanto il corpo non è senziente (basta guardare un cadavere), ma è sostenuto dall’Assoluto sempre Presente, che è la Vera l’Identità. Il Sé è anche quel corpo (privato dell’ego). Nell’identità che nasce dal sahaja samadhi tutto è il Sé, anche gli oggetti del mondo, privati delle loro etichette che li differenziano.

Mi accorgo che le decisioni prese nella vita relativa non sono la conseguenza di un pensiero o di un ragionamento, scaturiscono direttamente dalla fiducia e l’abbandono a Dio. È un allineamento con il ‘movimento senza pensiero’ del Sé. Non c’è più una connessione tra pensiero e decisione, perché non c’è più un ego che sostenga tale illusione, c’è solo il Sé! —

Questo Silenzio dell’immobilità trascendente dell’oceano è in tutti. Non ve ne accorgete perché notate solo le onde superficiali che sono impermanenti e nessuno vi ha insegnato a guardare più in profondità, oltre le onde di superficie. Trovate questo Silenzio salvifico e fatene la vostra dimora, la vostra vera identità!