— Namaste Sergio. Stamattina per caso mi è capitato un video in cui David Godman intervista Papaji. Forse lo hai già visto. Un grande abbraccio. Grazie!
Donatella
— Grazie Donatella. Sri Ramana è molto equilibrato. Dice sì che la via diretta teoricamente non richiederebbe alcuna sadhana dato che siamo già il Sé, ma riconosce pure che, essendo la mente dei più assai impura, vi è bisogno di una sadhana per calmarla ed placare la maggior parte delle vasana. Bhagavan dunque esorta allo sforzo finché non si è in grado di dimorare nel Sé e perdurarvi ininterrottamente.
Papaji invece ha una visione soggettiva derivante dalla sua personale esperienza – cosa che un Acharya non dovrebbe fare – e imbocca a mio giudizio una deriva enfatizzando solo il fatto che non c’è bisogno di far niente.
Questo potrebbe avere un qualche senso se si vive vicino a un Guru illuminato, perché il Satsangha (la vicinanza a un illuminato) è uno dei mezzi per l’illuminazione – anche se molti, pur vivendo vicino a Ramana non si sono illuminati –, ma diversamente è un’indicazione assai parziale. Papaji era solito dire agli allievi che vivevano con lui che erano illuminati, proprio esortandoli a rendersi conto che il Sé è già sempre realizzato; Ma quando fu intervistato da David Godman non menzionò nessun suo allievo tra i quattro illuminato che dichiarò di aver conosciuto.
Questa deriva raggiunge il massimo con Mooji, allievo di Papaji.
Essere un illuminato, non vuol dire implicitamente essere un Acharya (un Maestro). Un Maestro dovrebbe avere una visione complessiva, e non basarsi unicamente sul modo peculiare in cui egli personalmente ha raggiunto l’illuminazione.
Sri Ramana ebbe solo due ore di sadhana, ma era in grado di guidare gli allievi su tutti i percorsi spirituali, non soltanto nell’autoindagine.
Quanti allievi di Papaji si sono definitivamente realizzati? E quanti di Mooji? Sono domanda interessanti.