L’unico motivo per cui ho parlato di sonno desto è perché il sapere che lo si incontrerà nel corso della sadhana fa sì che l’aspirante ne noti i segni non appena appare; in più, sapendo che si tratta di un progresso, è già ben predisposto ad accettarlo e ad abbandonarvisi. Se invece non ne sa niente, impiegherà tempo a notarlo e opporrà resistenza ritenendo di non riuscire a mantenere la concentrazione. L’unico motivo per cui né ho parlato è questo, perché tutto quello che c’è da fare nell’autoindagine è “Chi sono io?”, e tutto il resto verrà da sé.
Tutto quello che c’è da fare è portare l’attenzione sul Soggetto e “Chi sono io?” è il veicolo per farlo. All’inizio ci saranno problemi a individuare il Soggetto, essendo così abituati a identificarci con tutte le identità che ci passa la mente. Poi comincerà a presentarsi l’io-persona, e ci vorrà del tempo perché quella falsa identificazione si purifichi.
Poi finalmente arriveranno delle esperienze dirette e si capisce che si è il Sé. All’inizio gli si danno dei nomi: sono Coscienza, sono Essere, sono Amore. Ma man mano che i concetti si disgregano, si diventa capaci di vedere che questo Sé è oltre i concetti, e si accetta che è indefinibile. Sei l’Essenza senza forma e senza nome. In sanscrito lo indicano col pronome relativo Tat, che significa Quello.
Ora “Chi sono io?” è un invito a rivolgere l’attenzione sul Soggetto, e come lo fai sei inondato dalla Beatitudine. Non è più una domanda per scoprire chi sei, è una porta aperta sull’oceano della Beatitudine infinita.